L’importanza del nosce te ipsum nella filosofia di Pascal: “La vita umana non è che un’illusione continua”

Nosce te ipsum” (“conosci te stesso”) è il monito che ben riassume l’insegnamento di Socrate, il filosofo che esorta a conoscere la verità dentro di sé. A riprendere siffatto motto e a farne un utile strumento di riflessione è Blaise Plascal (1623-1662), per il quale la conoscenza di sé, sebbene non possa giovare alla scoperta della verità, può massicciamente contribuire a regolare la propria esistenza. Conoscere se stessi non significa, dunque, vanagloria; al contrario, vuol dire prendere coscienza della propria fragilità e della propria piccolezza di fronte all’immensità dell’universo. In tal senso, l’uomo può essere definito un essere intermedio: “è un nulla nei confronti del tutto, ma un tutto, qualora sia paragonato al nulla”. È per questo motivo che egli non potendo conoscere né il nulla né l’infinito, né l’inizio né la fine delle cose, è costretto a navigare nel mare dell’ignoranza e a barcamenarsi tra le onde dell’ignoranza.

L’instabilità e l’insicurezza che padroneggiano l’esistenza di ciascun individuo, sia nel presente sia soprattutto per ciò che concerne il futuro, non ammortizzano quel desiderio così latente di occupare una solida posizione, di fermarsi in un luogo che possa essere un porto sicuro, un rifugio nel quale rintanarsi. Nei Pensieri, l’opera che gli ha dato la fama filosofica, Pascal scrive:

“Ecco la nostra vera condizione e quel che ci rende incapaci di sapere con certezza e di ignorare in modo assoluto. Noi voghiamo in mezzo a un vasto mare, sempre incerti e fluttuanti, sospinti dall’una all’altra sponda. Qualunque scoglio a cui pensiamo di attaccarci per rimanere fermi, si scuote e ci lascia, e se noi lo seguiamo, si sottrae alla nostra presa scivola e fugge in un’eterna fuga”.

Questi presupposti lasciano presagire, in ottica pascaliana, un unico dato di fatto: l’importanza di conoscere se stessi, pur essendo un’impresa disperata, rispetto sia alle conquiste parziali e incomplete della scienza sia alla ragione, soggetta all’inconstanza delle apparenze. Dopodiché, egli passa ad analizzare le fonti della conoscenza umana, tutte ugualmente ingannevoli. Innanzitutto, Pascal si scaglia contro l’immaginazione, definita maestra di illusioni e falsità, e apprezzata dagli essere umani, specie da dotti e sapienti, perché essa rende le cose belle e giuste. Seguire l’illusione è, quindi, la via preferenziale. Ma se Leopardi celebra l’immaginazione come la fonte primaria della felicità, per Pascal è la fonte principale dell’inganno, in quanto rende estremamente grande ciò che è infinitamente piccolo e trasforma in nullità ciò che è incommensurabilmente grande.

Oltre alla facoltà immaginativa, anche i pregiudizi e le abitudini sono ingannevoli. La consuetudine, infatti, implica un mero accontentarsi impedendo una trasformazione in vista di un bene migliore. Di conseguenza, Pascal ritiene che non vi siano rimedi in grado di migliorare sensibilmente la condizione dell’uomo, non ve ne saranno fino a quando l’individuo si lascerà guidare da simili potenze ingannatrici:

“Nulla gli mostra. [all’uomo] la verità. Tutto lo trae in inganno; questi due principi di verità, la ragione e i sensi, oltre a mancare ognuno di sincerità, s’ingannano reciprocamente l’uno con l’altro. I sensi ingannano la ragione per mezzo di falsi principi, e questo stesso inganno che essi arrecano alla ragione lo ricevono da lei a loro volta; essa si prende la rivincita. Le passioni dell’anima turbano i sensi e questi ricevono delle false impressioni. Essi mentono e s’ingannano a gara”. (da Pensieri)

Il “nosce te ipsum” pascaliano non fa riferimento all’amor proprio che, al contrario, viene additato come la radice e la causa dei mali dell’uomo. Del resto, si chiede Pascal, se l’uomo si scopre fragile e imperfetto, come potrà amarsi ed essere felice? Camuffando la sua vera natura, dato che non può distruggerla, e celando i propri difetti. Ma qui emerge il paradosso, che ha portato il filosofo ad elaborare una delle sue massime più celebri, poiché se è vero che essere pieni di difetti è un male, è altrettanto vero ed evidente che non voler riconoscere i suddetti difetti è un male peggiore. Sarebbe degno di stima colui che ringrazia chi quei difetti glieli fa notare. Ma questo non accade, perché gli uomini preferiscono l’inganno e la menzogna alla verità:

“Così la vita umana non è che un’illusione continua; non si fa che lusingarsi e ingannarsi a vicenda. Nessuno parla di noi in nostra presenza come ne parla in nostra assenza. L’unione che è tra gli uomini non è fondata che su questo mutuo inganno. E poche amicizie sussisterebbero, se ciascuno sapesse ciò che il suo amico dice di lui in sua assenza, sebbene allora ne parli con sincerità e senza passione”. (dai Pensieri)

Pascal conclude, poi, che l’uomo non è altro che la maschera che indossa, è una menzogna sia nei suoi confronti sia rispetto agli altri, “non vuole che gli si dica la verità, evita di dirla agli altri; e tutte queste disposizioni, così lontane dalla giustizia e dalla ragione, hanno una radice naturale nel suo cuore”.

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