Italo Calvino, Gli amori difficili

«Questo è il punto: rendere espliciti i rapporti col mondo che ognuno di noi porta con sé, e che oggi si tendono a nascondere, a far diventare inconsci, credendo che in questo modo spariscano, mentre invece…» (I. Calvino, Gli amori difficili)

Gli amori difficili di Italo Calvino è una raccolta di novelle, edita per la prima volta nel 1958. L’impostazione strutturale della medesima è divisa in due parti: Gli amori difficili è il titolo della prima; Vita difficile è il titolo della seconda.

Prese singolarmente, ognuna di queste storie ha i suoi propri personaggi, peculiarità, sentimenti, complicanze, ma a tenere unito l’insieme è la cappa dell’incomunicabilità, un silenzio che – come afferma lo stesso Calvino – «non è un passivo ineliminabile in ogni rapporto umano: racchiude pure un valore prezioso, assoluto».

Pertanto, potrebbero essere definite «storie di come una coppia non s’incontra e nel loro non incontrarsi l’autore sembra far consistere non solo una ragione di disperazione ma pure un elemento fondamentale – se non addirittura l’essenza stessa – del rapporto amoroso».

Lo stesso termine “avventura”, che compare nel titolo di tutte le storie componenti la prima parte, gioca non tanto sull’ambiguità, quanto piuttosto sull’ironia. Difatti, ciò che conta maggiormente non è il tentativo di seduzione del soldato verso una matrona seduta al suo fianco durante un viaggio in treno; non è neppure la divertente vicenda della bagnante che perde lo slip nel corso di una nuotata.

L’avventura a cui l’autore allude è nel proprio stato d’animo, una sorta di esplorazione nei meandri delle zone più buie e impervie della nostra interiorità. Zone appunto difficili da raggiungere, evidenziando come talvolta il gesto di tapparsi gli occhi e proseguire sia un meccanismo tanto più semplice, quanto più comporta un restare sulla superficie, evitando di prendere in mano la propria vita e plasmarla secondo quei desideri che restano lì, inascoltati, come spettri del non detto e perdendo non una, ma molteplici occasioni di riscatto, di rinascita.

Esemplare, in tal senso, è – per estensione – la riflessione del fotografo, nell’omonimo racconto, sull’istantanea:

«Il gusto della foto spontanea naturale colta dal vivo uccide la spontaneità, allontana il presente. La realtà fotografata assume subito un carattere nostalgico, di gioia fuggita sull’ala del tempo, un carattere commemorativo, anche se è una foto dell’altro ieri. E la vita che vivete per fotografarla è già in partenza commemorazione di se stessa. Credere più vera l’istantanea che il ritratto in posa è un pregiudizio…»

Eppure, non tutto è perduto. Ne L’avventura di un automobilista potrebbe leggersi quasi un munus calviniano per oltrepassare e frantumare il velo spesso di un silenzio insopportabile e apparentemente invalicabile:

«Ciò che conta è comunicare l’indispensabile lasciando perdere tutto il superfluo, ridurre noi stessi a comunicazione essenziale, a segnale luminoso che si muove in una data direzione, abolendo la complessità delle nostre persone e situazioni ed espressioni facciali, lasciandole nella scatola d’ombra che i fari si portano dietro e nascondono»

Gli ultimi due testi, che suggellano la raccolta, sono anch’essi dissimili da un punto di vista dell’intreccio e dei personaggi che li popolano, ma anche qui vi è un unico collante, cui sottende un’esortazione: il “male di vivere” non deve tenere a freno pulsioni, istinti, desideri. Al contrario, bisogna trovare e raccogliere le forze necessarie per fronteggiare con caparbietà e ostinazione qualsivoglia evento.

Nella fattispecie, ne La formica argentina, una famiglia da poco giunta nella Riviera di Ponente s’imbatte in un esercito di formiche che non riesce a debellare, complicando di conseguenza il trasferimento. La determinazione a sconfiggere quel nemico tanto minuscolo quanto fastidioso troverà una vera e propria catarsi nell’immagine del porto. Del resto, parafrasando Jean-Claude Izzo: “davanti al mare la felicità è un’idea semplice”.

©Antonietta Florio

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