Ana Johns, La donna dal kimono bianco

«Ogni passo che facevo mi avvicinava sempre più al mio futuro e mi portava lontano dalla mia famiglia. Erano due estremi opposti, contrastanti in tutti i sensi, ma in qualche modo avevo trovato il mio posto fra l’uno e l’altro. Era quello che Buddha definiva la via di mezzo. Il giusto equilibrio della vita. Io lo definivo felicità. Una vita piena d’amore è felice. Una vita per l’amore è insensata. Una vita fatta di “se solo…” è insopportabile.» (A. Johns, La donna dal kimono bianco)

«Il tempo […] non fa discriminazioni. Non gli importa se siamo felici o tristi. Non aspetta, né rallenta, né si affretta. È una creatura lineare che viaggia in una sola direzione, ed è costante.» (A. Johns, La donna dal kimono bianco)

Romanzo d’esordio di Ana Johns e ispirato alla storia di suo padre, La donna dal kimono bianco oscilla tra passato e presente, tra l’America di oggi e il Giappone della fine degli anni Cinquanta. Una storia intensa, capace di catturare l’attenzione del lettore e catapultarlo con una miscela di emozioni forti e contrastanti, in una cultura – quella orientale appunto – profondamente diversa dalla nostra, così come sono differenti tradizioni e costumi.

L’alternanza dei capitoli corrobora l’intensità e la profondità della trama ed è direttamente proporzionale ai due personaggi femminili, che rappresentano l’anima della storia: Naoko Nakamura in “Giappone 1957″ e “Giappone 1958″; Tori Kovač in “America oggi” e “Giappone oggi”. Due donne, perfette sconosciute, ma con un destino comune: Haijme.

Tori, giornalista investigativa, è al capezzale del padre morente e la scoperta di una lettera, che giunge da un passato ormai remoto, fa sì che quel medesimo passato pervada il presente, come un’ombra oscura e densa di enigmi, la cui risoluzione richiede un viaggio nel Paese del Sol Levante. Un viaggio finalizzato a scoprire la storia – quella vera – di suo padre, ma che acquisterà uno spessore progressivo, dai risvolti imprevisti, del tutto inattesi e amari, come talvolta è amara la pillola della verità:

«Spesso la sofferenza è il passaggio attraverso il quale si insinua la verità e, perfino nel silenzio, urla nelle mie orecchie».

L’esistenza di Naoko scorre tranquilla nell’odierno Giappone con il marito Shatoshi e la figlia Shiori. Eppure dietro quella parvenza di tranquillità quotidiana c’è qualcosa che fa rumore, che bolle, che scuote l’anima: il ricordo di un passato rimasto incompiuto e che mai passerà. Naoko ha avuto la fortuna di conoscere il vero amore, in nome del quale è pronta ad abbandonare la sua famiglia e noi, in quanto lettori, una volta di più prendiamo coscienza di quanto sia forte il legame esistente tra una madre, che lascia la libertà di scelta in un Paese in cui i matrimoni sono combinati, e sua figlia:

«Prendere quella giusta [la strada] è destino. Prendere quella sbagliata è pure destino. Perciò devi scegliere il tuo amore ed essere pronta ad amare la tua scelta. […] Se non dovessi tornare, il mio amore sarà la tua ombra, incrollabile, sempre dietro di te».

Libera di forgiare il suo proprio destino e desiderosa di portare avanti la gravidanza, Naoko sceglie l’amore. Ma sarà l’inizio della fine. Qualche tempo dopo il matrimonio, Haijme è costretto a partire per l’America, mentre la ragazza – ormai donna – dovrà fronteggiare, facendo affidamento soltanto su se stessa, l’intransigenza della sua famiglia, in primis quella di suo padre, poi quella della nonna – dispensatrice di proverbi disseminati in tutto il romanzo – e del fratello Taro.

Se per Naoko ciò che conta è il cuore – e il suo cuore l’ha affidato a Hajime, anzi è Hajime – il padre si preoccupa dell’apparenza e spinge per un matrimonio di convenienza. Dunque è pronto a sacrificare la felicità e il futuro di sua figlia pur di non perdere posizione, onori e rispettabilità.

Oltre a ciò, Naoko subirà il dolore della perdita della madre, cui vi si aggiunge un tremendo senso di colpa, corroborato dalla nonna che parimenti la ritiene colpevole del malore di Okaasan e, seppure implicitamente, anche dal padre. Una figura, questa del padre, che poi non è così paterna.

Naoko porterà avanti la gravidanza da sola; sarà un combattimento continuo, una lotta feroce e ardua soprattutto nella clinica ostetrica, che si rivelerà essere un luogo marcio, paragonabile forse all’Inferno dantesco. Ma qui, Lucifero è incarnato dalla direttrice Sato che, pur di guadagnare una grossa mole di quattrini, fa abortire le ragazze.

A questo punto l’autrice evidenzia la forza di una donna, la volontà quale motore per sormontare gli ostacoli, attraversare sentieri improbabili, inimmaginabili e che sembrano impossibili; la forza di una madre, disposta a tutto affinché suo figlio, sangue del suo sangue, abbia una sorte diversa, un destino migliore.

L’incontro tra Naoko e Tori rappresenta la convergenza tra passato e presente, due estremi opposti uniti dall’amore per la stessa persona, per quello straniero americano, che allontanatosi per arruolarsi, non ha mai fatto ritorno dalla donna che ha amato più di ogni altra cosa, dalla donna che tuttavia non ha mai dimenticato.

Ed è grazie al suddetto incontro, pur sempre nella consapevolezza che “il dolore e la felicità non passano, ma diventano le nostre ossa”, che i mali interiori si affievoliscono, il passato può finalmente riposare e le ombre possono lasciare spazio alla luce del presente, della vita.

© Antonietta Florio

Pubblicità

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...