«Sono io, disse, e di nuovo sentì che i peli del corpo gli si rizzavano, non era vero, non poteva essere vero, qualsiasi persona equilibrata casualmente lì presente lo avrebbe tranquillizzato, Che idea mio caro Tertuliano, abbia la bontà di osservare che lui ha i baffi, mentre lei ha il viso rasato. Le persone equilibrate sono così, hanno l’abitudine di semplificare tutto, e dopo, ma sempre troppo tardi, le vediamo stupirsi di fronte alla copiosa diversità della vita, allora si ricordano che i baffi e le barbe non hanno volontà propria, crescono e prosperano quando glielo si permette, a volte anche per pura indolenza del portatore, ma, da un momento all’altro, solo perché la moda è cambiata o perché la pelosa monotonia li ha resi molesti allo specchio, scompaiono senza lasciare traccia.» (J. Saramago, L’uomo duplicato)

Paradossale e fuori del normale, ma proprio per questo straordinario ed eccezionale. Ne L’uomo duplicato, José Saramago affronta il tema del doppio, profondamente irrelato al come si vive la propria realtà. Immaginate di essere Tertuliano Maximo Alfonso, professore di storia, solitario e divorziato, che un bel giorno guarda un film in cui nota un personaggio-attore che non semplicemente gli somiglia: sono perfettamente identici.
Onde ne deriva immediatamente un dilemma quasi amletico: “chi è l’originale e chi è la copia, la ripetizione?”, cui fa seguito una drammatica presa di coscienza: «Uno di noi è un errore». Ma, «che cos’è essere un errore?». E ancora: «[…] a volte ho l’impressione di non sapere esattamente che cosa sono, so chi sono, ma non so che cosa sono […]». Insomma, una situazione caotica e disordinata, laddove però il caos non è altro che un ordine che necessita di un’operazione di decodificazione.
L’avventura che Tertuliano intraprende per scoprire la verità, satura di ironia e colpi di scena, fa sì che il protagonista non sia più soltanto uno, bensì due. Due metà compensantesi, in quanto entrambi alle prese con la crisi derivante dall’annullamento dell’esclusività individuale, dell’irripetibilità del soggetto.
«Sappiamo tutti che ogni giorno che nasce è il primo per alcuni e sarà l’ultimo per altri, e che, per la maggioranza, è solo un giorno in più. […] Diciamo che si è presentato a questo mondo come la possibilità che sia un altro primo giorno, un altro inizio che indica pertanto un altro destino. Tutto dipende dai passi che Teruliano Maximo Alfonso farà oggi.»
Le elucubrazioni del professore di storia che fino a quel momento aveva avuto la passione per la lettura, si incontrano e scontrano con il senso comune, il caro buonsenso che Saramago fa intervenire come fosse un personaggio in carne e ossa, e i cui consigli vanno nell’unica direzione possibile, quella cioè di “evitare i mali peggiori”, di non impelagarsi in una battaglia dal sapore fatalistico:
«Dice la saggezza popolare che non si può mai avere tutto, e avrò certo ragione, il bilancio delle vite umane gioca costantemente sul vinto e sul perdente, il problema sta nell’impossibilità, altrettanto umana, di metterci d’accordo sui meriti relativi di quel che si dovrebbe perdere e quel che si dovrebbe vincere, ecco perché il mondo è nello stato in cui lo vediamo.»
Pagina dopo pagina, la storia sembra mutare, divenendo un vero e proprio giallo, il cui culmine nella parte conclusiva è tanto inaspettato quanto sorprendente e chi ha già letto José Saramago sa che la sua penna è in grado di stupire fino all’inverosimile, al paradossale appunto (vedi in proposito la recensione de Le intermittenze della morte).
Lettura consigliatissima, dunque. Ma, al di là della narrazione pura e della delineazione psicologica dei personaggi, anche la struttura stilistica richiede una qualche menzione. Originale od ostica? De gustibus, come si suole dire. Le frasi sono talvolta molto lunghe, i dialoghi non sono preceduti dai fantomatici trattini o virgolette e/o altri segni che possano far comprendere immediatamente se si tratti di una domanda o di un’esclamazione. Inoltre, frequenti sono gli interventi del narratore esterno, che ben lungi dall’essere un fattore conturbante e tedioso, svolgono una funzione di riempimento, di completamento, agevolando il percorso introspettivo dell’uomo duplicato.
© Antonietta Florio