«Con tutto quel mare era come vederlo, il tempo. Passava e sembrava non toccare la sostanza delle cose. Il paesaggio pareva restare lo stesso. La somma dei giorni si mescolava al lento moto delle acque. Quante volte si era sentita tutt’uno con quella inquieta apparente immobilità. Eppure, uno dopo l’altro gli eventi avevano toccato anche la sostanza delle cose, e il tempo aveva segnato Girgenti e l’Italia. Bastava voltarsi indietro e la sequenza dell’accadere rivelava gli eventi in prospettiva, come volti in un’infilata di specchi. Era questo, come sentiva dire in giro, appartenere alla Storia, la Storia con la esse maiuscola?» (S. A. Hornby, Caffè amaro)

Lui trentaquattro anni, lei quindici; lui è ricco e facoltoso, lei non ha dote; lui ha viaggiato e conosce il mondo, lei non è uscita al di fuori di Camagni. Ciò nonostante, Pietro Sala s’innamora perdutamente di Maria Marra. Il classico colpo di fulmine. Da quel momento in poi, il giovane non avrà altri obiettivi che conquistarla e sposarla, durante un periodo storico funesto, che attraversa il fascismo e i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale. Questa è la cornice del romanzo di Simonetta Agnello Hornby, Caffè amaro.
Il piacere della lettura è corroborato dal realismo dei personaggi, della cornice storica entro la quale la vicenda si dipana e nella quale ognuno dei detti personaggi vive la propria esistenza, talvolta intrecciandosi con quella degli altri. Molte sono infatti le figure che si possono riconoscere, come ad esempio l’editore Formaggini e la moglie, così come le situazioni contestuali delle varie sequenze narrative, alternando di tanto in tanto passato e presente, ricordi e speranze.
Con il vizio del gioco d’azzardo e la passione per le donne, Pietro Sala sembra trovare una stabilità sentimentale quando conosce Maria, la figlia del socialista di Ignazio Marra. A nulla valgono gli avvertimenti e i mòniti della famiglia: Pietro è interessato unicamente alla fanciulla. Questo interesse turba in un primo momento l’atmosfera in casa Marra e, dopo le considerazioni iniziali, i coniugi lasciano alla figlia libertà di scelta.
Maria si sente divisa tra i compiti e i doveri di figlia, che vuole «immolarsi» per aiutare i genitori:
«“So che se non sposerò Pietro Sala, o un altro, sarò un peso per voi. Questo lo so bene, e so anche che potrei lavorare, trovare un lavoro…”»
e i desideri di una donna: sposarsi, avere dei figli, amare ed essere amata. È per questo che i genitori non le fanno pressione, è per questo che non la costringono né nell’una direzione, né nell’altra. Deve essere lei, solo lei a prendere una decisione, ad ascoltare cosa c’è nel suo cuore e ad obbedire a ciò che sente dentro di sé:
«“Maria, ascoltami! Non osare mai più pensare di essere un peso per i tuoi genitori! Mai! Questa è casa tua, tanto quanto lo è mia, e lo sarà sempre!”. Poi abbassò la voce, decisa. “Noi vogliamo che tu scelga da sola, senza fretta, l’uomo che sposerai. Scegliere significa frequentarlo, conoscerlo. Uno che ti piaccia come persona e che ti senti pronta ad amare come uomo, un uomo con cui condividerai il letto.»
A queste parole fa eco la dolcezza paterna: «“Vai, e pensaci. Hai il sacrosanto diritto di goderti la vita. Sempre. Di cercare la tua contentezza.”». Come sempre, nei momenti più difficili e angoscianti, Maria trova un rifugio nella musica: suonare al pianoforte è l’antidoto alla “malattia della realtà”. Una vera e propria medicina, anzi l’ossigeno di cui ha bisogno per poter ancora respirare quando l’aria diventa irrespirabile, una passione che condivide con Giosuè, molto più di un amico.
Il loro è un rapporto di amicizia fraterna. Sia l’una che l’altro sentono che “il loro destino è di non dimenticarsi mai”, che qualsiasi cosa accada loro ci saranno sempre e comunque e che niente sarà così forte da dividerli. Dopo le nozze, la distanza tra Maria e Giosuè sarà soltanto chilometrica. Proseguono sì su strade differenti, vivono ognuno la propria vita, ma si incontrano nelle numerose epistole inviate e ricevute, nelle quali discutono soprattutto della situazione attuale, ma che è un modo – l’unico, forse – per sentirsi vicini.
Oltre a ciò, Giosuè spalleggia la ragazza nel suo desiderio, quasi una vocazione, di diventare insegnante e la aiuta nella conoscenza del latino e di altre discipline umanistiche, riuscendo finalmente a ottenere il diploma di maestra a Camagni.
Nel frattempo la vita coniugale subisce i primi scossoni. Il vizio di Pietro di giocare d’azzardo mette a repentaglio la situazione economica dei Sala, cui si aggiunge l’uso di droghe che compromette la serenità di Maria, che in qualità di moglie e mamma, viene investita dal suocero di amministrare la dote del marito, attirandosi ancora di più le gelosie e le invidie della cognata.
Ma questo è solo la prima delle turbolenze matrimoniali. La scoperta di essere una delle tante che Pietro ha amato è così amara da mettere in discussione ogni cosa, innanzitutto e nuovamente i sentimenti nei confronti di Giosuè, a tal punto che
«Vedeva soltanto lui, nella luce accecante. Lo voleva. Voleva che lui fosse attratto da lei quanto lei era attratta da lui. Accelerò il passo, per essergli finalmente accanto. Voleva dirgli che lo amava, che voleva toccarlo ed essere toccata da lui. E che gli si offriva, lì, sulla sabbia, umida di sudore.»
Insomma, Maria si rende conto che Giosuè è il «suo vero amore da sempre», l’unico sul quale possa sempre contare, l’unico che le dà serenità nonostante la guerra, la depressione e l’incertezza. L’unico col quale l’opprimente senso di solitudine e fallimento si placa.
Cominciano una serie di incontri clandestini, una storia extraconiugale, sorretta da un amore profondo, ma anche dal desiderio di vivere un legame stabile, esplorando tutte le possibilità per vivere insieme. Nessuna delle quali però, – vuoi per legge, vuoi per doveri nei confronti dei figli – risulta adeguata e fattibile. Non resta altro che separarsi.
Tale separazione spegne il barlume della felicità fino ad allora provata, ma non lascia svanire il sentimento. «Io non sono innamorato di te, io vivo di te…» le scrive Giosuè in una lettera; «Io ho una certezza […] che l’amore tuo sarà la consolazione di tutta la mia vita» afferma Maria.
Caffè amaro è sì un romanzo che fa luce su un periodo storico relativamente recente, è sì una storia le cui tematiche non sono attuali (l’emigrazione, la condizione delle donne, le disparità di classe), ma è soprattutto il racconto dei sentimenti. Un viaggio all’interno del cuore, alla scoperta delle cose belle, le quali cose sono raggiungibili e realizzabili se le si rincorre con determinazione, intraprendenza e ostinazione. Un combattimento perseverante e costante, alternato a momenti di arrendevolezza e di sfasamento, ma con la certezza che in cima la vista sarà splendida. Infatti:
«“La nostra vita è come questi alberi,” disse Giosuè, “bisogna arrampicarsi evitando le spine, i campi minati, e tutte le altre brutture, per raggiungere la cima, tutta fronde e fiori… e poi…” La guardò: “E poi godersela!”.»
© Antonietta Florio