«Bisogna sempre accettare, accogliere e condividere i silenzi, le urla, i dolori, l’infinito e il finito della vita. Noi siamo intramontabili. Il crepuscolo è parte del nostro viaggio. L’importante è restare sempre con se stessi e mai vedere i passanti passare. Non mi sono mai affacciato alla finestra per guardare gli altri. Io rispondo sempre in prima persona dei miei sbagli, dei miei successi, del mio sorriso, della mia allegria e dei miei naufragi. Gli amori sono nella luce dell’alba. La solitudine è il pensiero dei meriggi. Non ti rattristare se ciò che accade ti accade e non dire mai proprio a me doveva accadere. Sei nella vita e la vita è in te. Mai dimenticarlo. Dimenticare è perdersi.» (P. Bruni, Il sottosuolo dei demoni. Filosofia e dissolvenza)

Filosofia, antropologia, etnologia, estetica, letteratura, mito e destino sono gli universi culturali entro i quali Pierfranco Bruni viaggia e fa viaggiare ne Il sottosuolo dei demoni. Filosofia e dissolvenza. Un saggio che non è soltanto mera parola scritta, ragguaglio e sintesi dei pensieri dei più diversi autori, filosofi e poeti, ma è qualcos’altro, giacché la parola – la sua parola – s’intreccia con la vita di ciascuno ed «esplora il cielo stellato».
Del resto, per citare Nietzsche, siamo anonimi e solitari pur vivendo nella collettività. O come afferma Corrado Alvaro: «La vita non è altro che una comunione di solitudini». E tutti, in un modo o nell’altro, sentono (e sentiamo) di essere stranieri in casa nostra, vivono (e viviamo) momenti di abbandono, naufragano (e naufraghiamo) nella tempesta del dubbio, dell’incertezza e non sembra esserci approdo.
Già, sembra. Poiché una soluzione c’è: è la letteratura; una consolazione, suggerisce Severino Boezio, c’è: è la filosofia. Ma ciò non vuol dire eliminare il dolore:
«La vita resta nella serenità e nella tragedia dell’ironia. Tra armonia e disarmonia. La disarmonia che prevale come attesa delle mancanze. Siamo tutti dei “nomadi spirituali”.»
Non a torto, quindi, Pierfranco Bruni asserisce che tra la letteratura e la vita non vi è incontro, bensì intreccio. Indissolubile.
«La vita si vive consumandola tra il pensiero e la vacuità. Una tristezza che accoglie le malinconie di una letteratura che si apre a una distinzione del dolore. Vita e letteratura sono un intreccio. Non un incontro. Il dolore si “maschera”, a volte, nel senso dell’inquieto e trova la sua possibilità di esistere nella necessità del tragico.»
Comincia così il viatico esistenziale dell’autore, che diventa anche quello del lettore. Autenticamente soggettivo, profondamente personale.
Cesare Pavese, Gabriele D’annunzio, Maria Zambrano, Fëdor Dostoevskij, passando per Ernesto De Martino e Malinowski (solo per citarne alcuni), sono ben radicati nel sottosuolo del saggio in questione e, soprattutto, si avverte l’importanza tanto culturale quanto soprattutto a livello umano ed esistenziale hanno avuto e continuano ad avere in e per Pierfranco Bruni.
Ognuno di essi, infatti, è stato per l’autore magister vitae; ognuno di essi si è fatto portatore di una lezione di vita, di un insegnamento morale che Bruni ha custodito nel suo cuore, ha fatto proprio e, non da ultimo, ha trasmesso agli altri, cioè a noi lettori.
Ecco profilarsi un ulteriore nucleo tematico: la memoria. Essa avoca a sé sia il fattore tempo, nel senso di un recupero della tradizione, sia la dimensione onirica, nel senso di un viaggio antropologico e mitico alla ricerca delle proprie origini. In entrambi i casi, essa presuppone uno scavo nel sottosuolo, “in quella parte segreta e recondita della mente in cui si agitano pensieri e ricordi che talvolta si ha paura di confessare anche a se medesimi” (Dostoevskij):
«C’era una volta un tempo in cui la memoria era soltanto sogno. E il sogno si colorava di fantasie lungo i viaggi dell’essenza della vita. Il silenzio era potere. Il potere del silenzio era un’arcana energia dello spirito.»
Conseguenza ineludibile è la nostalgia (ossia la dimensione del tragico nel presente, la perdita del tempo – sottolinea Bruni – nel contemporaneo) consegnata alla poesia, che non è tanto (o soltanto) un modus exprimendi, è piuttosto un consegnare ai versi scritti la propria essenza, un abbandonare la superficie per scavare proprio lì, dove sgorga la sofferenza che fatica a fuoriuscire,
«perché tutto ciò che succede, succede nel mio cuore. E non succede soltanto. Si ripete anche. E tutto ciò che si vive, si vive perché vive in me e io sono la vita. Ed essendo la vita posso essere e sono anche la morte.»
Da qui, Pierfranco Bruni intavola l’apologia della poesia. Essa diventa la parola-chiave nella naturale prosecuzione del saggio-viaggio, a partire da un solo interrogativo, che sebbene non espresso direttamente, ne permea le pagine: che cos’è la poesia? È «linguaggio del percettivo», esule pertanto dalla ragione; uno scavo nel destino e nei sogni, un attraversamento del Tempo, cammino spirituale e «salvifico tra le pareti della nostra anima».
Ancora, la poesia è diaspora, esilio da se stessi, «è l’interpretazione di una spiritualità dentro l’essere esistenza dell’uomo»; è metafisica, è la dimensione ontologica dell’anima alla ricerca della verità della vita, nella quale l’uomo è – per usare le parole di Aldo Masullo – giocattolo e giocatore a un tempo.
Tali sono le caratteristiche che rendono la poesia immateriale, sempiterna, infinita e imperitura. È ancora Masullo a sostenere che:
«la poesia è interiorizzazione del superamento della storia, ma anche del tempo, perché diventa immanente. Diventa l’asse intorno al quale ruota il concetto del superamento di morte per diventare immortalità. Immortalità non fisica, non di un’idea, non di un pensiero, bensì immortalità di una metafisica.»
Un’ulteriore conseguenza o effetto collaterale che germina dallo scavo nel sottosuolo della memoria è la melancholia che, come la nostalgia – ma differente da essa -, fa parte della triade passato-presente-futuro. In questo secolo dell’inquietudine e dell’irrequietudine, è la ragione poetica che prende il sopravvento sulla ragione storica (Maria Zambrano).
Inevitabile è allora una profonda riflessione sulla modernità, sulla condizione dell’uomo contemporaneo, sempre in bilico tra l’attesa e la speranza, sostenute dalla credenza nel miracolo. L’individuo, lacerato da un dubbio inemendabile, ma necessario per attraccare nel porto della conoscenza, è in perenne rivolta con se stesso e in se stesso:
«Siamo in viaggio restando lungo le sponde dell’attesa. […] Oltre ci sono la solitudine e l’isola. Oppure il silenzio. La letteratura come esilio. […] È lo scrittore della solitudine e dell’esilio in una filosofia della concettualità anima-sogno che riposa nello spazio dello strazio, dell’assurdo e della speranza, perché è la parola la sola conquista del misterioso che resiste al “crepuscolo degli dèi” […]»
È l’Ulisse (post)moderno che si incontra anacronisticamente con l’uomo dantesco: il viaggio nella perdizione negli abissi dell’Inferno, che prosegue nel Purgatorio con la speranza e, di conseguenza, l’attesa di “riveder le stelle” nel Paradiso.
In questa letteratura che non è finzione e artificio, ma destino, che non è mera ripetizione della tradizione, bensì “rappresentazione della contemporaneità”, interpretazione del sogno dell’uomo e contenitore di esistenze, tragedia e ironia si alternano e l’ingrediente segreto di dostoevskijana memoria è «non vivere per vivere, ma avere qualcosa per cui vivere».
Il sottosuolo dei demoni. Filosofia e dissolvenza è ricco di pensieri estetico-filosofici di grosso spessore, in esso proliferano diversi ambiti culturali che confluiscono verso un’unica origo: la vita, la nostra vita. Un saggio denso di mòniti proferiti con un linguaggio semplice, ma “nudo e crudo”, così come nudo e crudo è il dolore che ogni uomo si porta dentro, che seppure cancella il sorriso, non deve annullare l’amore per la vita stessa, che vale la pena di essere vissuta. Sempre.
È così che Pierfranco Bruni prende congedo:
«Quando pensi che sia impossibile, le voci del cuore ti indicano le voci del silenzio che ti condurranno al possibile. Quando credi che sia irraggiungibile, le voci dell’anima ti condurranno nel buio per donarti la bellezza della prima aurora e capirai. Quando la tristezza ti linea gli occhi lo sguardo ti condurrà oltre. Non temere. Non esiste l’amore grande. L’amore è grande già per se stesso. Esistono i grandi amori. Ti vivono dentro perché tu sei dentro l’immenso di una luce della quale non puoi fare a meno. È destino? È attrazione? È caos? È miracolosa avventura? Non pensare. La magia nulla domanda. Bisogna viverla. Semplicemente viverla.»
Lettura consigliata!
©Antonietta Florio
[…] sortilegio della speranza è, dunque, un viaggio in cui il protagonista è un «nomade spirituale» alla ricerca di sé che travalica i confini dello spazio-tempo, ripercorre le zone del mito, che a […]
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[…] penna dell’Autore è uno scandaglio dentro di sé che chiama in causa il lettore e il sottosuolo delle sue emozioni. Le frasi sono brevi, aforismatiche e intrise di un’intensa carica […]
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