Friedrich Hölderlin, Essenza della poesia

«Il suo [dello spirito poetico] ultimo compito è quello di avere nell’alternanza armonica una traccia, un ricordo, affinché lo spirito non rimanga presente a se stesso in un singolo momento e poi di nuovo in un altro, ma di continuo in stati d’animo diversi, così come lo spirito è tutto presente a se stesso nell’unità infinita, che talvolta è punto di divisione di ciò che è unito come tale, ma in altri casi è punto di congiunzione di ciò che è unito in quanto opposto, e infine è entrambe le cose insieme; così che nell’unità infinita l’armonicamente opposto non si oppone in quanto unito, né in quanto opposto viene unificato, ma viene riconosciuto, e quindi sentito, come entrambe le cose in una, come inscindibile unità degli opposti. Questo sentire è propriamente il carattere poetico; non genio, né arte, ma individualità poetica; in essa soltanto risiede l’identità dell’ispirazione, la perfezione del genio e dell’arte, la presentificazione dell’infinito, del momento divino.» (F. Hölderlin, Essenza della poesia)

Il nome di Friedrich Hölderlin, definito “il più grande lirico tedesco dopo Goethe”, è legato alla nozione di poesia, attraverso la quale si vuole indagare (nel)l’interiorità dell’homo e, nel contempo, cercare il valore assoluto della realtà in sé. Da qui, due conseguenze. La prima s’innesta sulla dicotomia oggettività-soggettività, finito-infinito, particolare-universale; la seconda implica l’importanza ineccepibile del linguaggio della creazione, «il più pericoloso dei beni, luogo dell’erramento e della minaccia dell’essere».

Tali fattori non sono tuttavia da intendersi come a sé stanti, bensì appartenenti ad una medesima categorizzazione, un medesimo insieme, atto a coniugare interiorità ed esteriorità in una totalità armonica. Questa è la strada intrapresa da Rosario Assunto, che diverge da quella heideggeriana, mirante all’Aufhebung della metafisica.

In proposito, l’estetologo italiano annota nell’Introduzione all’Essenza della poesia:

«la lezione hölderliniana, proprio nella misura in cui richiede l’oggettività della poesia, risulta preziosa in quanto avverte che tale oggettività non sarà mai quella degli oggetti empirici soverchianti rispetto alla Innigkeit del poeta, bensì sarà l’oggettività pura che si rivela nel linguaggio in cui convergono e si congiungono esteriorità e interiorità.»

Il testo in questione, tradotto da Assunto, consta di passi scelti da Appunti sull’essenza della poesia (Aufsätze über das Wesen der Dichtkunst) composti dal poeta di Lauffen tra il 1799 e il 1800 ed è suddiviso in due parti.

Nella prima parte, Fondamento dell’«Empedocle», Hölderlin asserisce sin dalle prime battute che tanto nei drammi quanto nei poemi tragici, il poeta esprime «il divino che sente e sperimenta nel proprio mondo». In siffatto modo, egli traspone in un’altra personalità oggettiva la propria soggettività e in essa la rivela. (Da notare, en passant, una sorta di analogia con La fenomenologia della coscienza critica di Georges Poulet, il quale si sofferma sulla medesima questione, ma nell’ottica del lettore.) Qui, il linguaggio è un bene, in quanto mezzo per intendersi, che offre la possibilità di stare in mezzo all’apertura dell’ente.

Sul procedimento dello spirito poetico, seconda parte dello scritto, riflette, appunto, sull’operare dello spirito poetico, che deve essere libero nel processo di creazione del suo mondo. In questo contesto, l’uomo in bilico tra una vita in solitudine e un’esistenza in connessione con il mondo della collettività, può risolvere tale contraddizione osservando un’unica regola, enucleata da Hölderlin in questi termini:

«Poniti con libera scelta in armonica opposizione con una sfera esteriore, così come sei per natura in armonica opposizione con te stesso, ma lo sei in maniera inconoscibile, fintantoché rimani in te stesso.»

Detto altrimenti, l’uomo può riconoscersi e raggiungere la sua destinazione, ovvero la conoscenza della sua identità «come unità contenuta nel divino», uscendo da se stesso e armonizzandosi con l’opposto: «L’uomo – dice Hölderlin – è quello che è proprio testimoniando il proprio esserci», la sua appartenenza alla terra.

Arte e natura, in lui e fuori di lui, diventano allora la rappresentazione di un mondo nuovo, che se da un lato è ignoto e incomprensibile, dall’altro necessita di una riflessione creativa che si attua non con il linguaggio della filosofia, ma dell’arte.

In tal senso, la poesia è «incarnazione sensibile di un contenuto ideale», è – per dirla con Heidegger – «istituzione in parola dell’essere», il fondamento dell’esserci, e nell’accezione di Rosario Assunto fa leva sulla creatività del Dichter, il quale trasferisce in forma poetica il suo sentire e la parola diventa lo strumento irrinunciabile che lega il pensiero e il sentimento. La parola è – parafrasando – gli inisti, l’inia, “orchestrazione di pensieri e sentimenti, la visione multipla e globale che offre la vita”.

Ciò implica un’ulteriore comunione: quella tra l’arte e la filosofia, laddove la prima è l’organo della seconda, è la possibilità di esternare realmente e compiutamente la verità, di produrre l’identità di conscio e inconscio, finito e infinito. E un’unica, definitiva conclusione: la poesia è la chiave d’accesso alla verità, in quanto procede diversamente dalle filosofie della ragione e dell’intelletto.

Più precisamente:

«La poesia non è solo un ornamento che accompagna l’esserci, non è solo un entusiasmo momentaneo o addirittura solo un eccitamento o un intrattenimento. La poesia è il fondamento che regge la storia e perciò non è neppure soltanto un fenomeno della cultura e meno che mai la mera espressione dell’anima di una cultura.»

© Antonietta Florio

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