«L’amore nella lontananza diventa spazio, atmosfera; non conosce limiti; si fa mistero quasi religioso. La ricerca dei fantasmi d’amore nella lontananza addestra l’anima a superare anche le leggi del tempo; il passato e il presente si fondono. I ricordi acquistano le stesse capacità di vita che hanno le speranze. Il mondo spirituale della creatura amante s’apre all’infinito. Il mondo del mio spirito non appartiene a me soltanto, ma dipende da colei che lo ricrea ogni giorno restandomi legata nella lontananza.» (S. Gotta, Lilith)

Lilith di Salvator Gotta è la descrizione di una storia d’amore tanto emozionante e commovente quanto potente e indimenticabile. Un sentimento che non conosce sospensioni, né affievolimenti, ma che cresce sempre più nonostante (o forse proprio per questo) la lontananza.
Raccontato in prima persona, Lilith si apre sulle rive di San Solo e con le riflessioni del protagonista, Andrea Sales, su di sé e sulla sua natura di uomo, lasciandosi quindi conoscere. Ciò rende la storia passibile di più interpretazioni e ci si accorge ben presto di avere fra le mani un romanzo che, sfociando nella saggistica e nel documentario storico, si apre alla religione e alla filosofia.
Una prima osservazione che non può restare in sordina è il contrasto tra il mondo naturale e la scienza, tra l’uomo primitivo, semplice, che segue l’istinto e l’uomo di oggi, nel suo tentativo di signoreggiare la natura, di assoggettare ogni cosa al suo volere, tra la libertà infinita che regala la vista del mare e la claustrofobia pressoché limitante della città.
«Nato in campagna, vissuto fra gente e animali che lavoravano la terra, trascorsi i primi dieci della mia esistenza non molto differentemente dal cane che custodiva la mia casa e dal cavallo che tirava il mio aratro. Neanche del periodo in cui fui mandato a studiare in una piccola città, ho ricordi notevoli. Acquisivo la scienza come la terra assorbe l’acqua, per destino. […] Confondevo lo scibile col naturale; la società non mi afferrava con i suoi problemi; nel mio universo d’allora […] un teorema non mi dava emozione più di quella che non mi desse, per esempio, il parto di una giumenta […].»
Così dicendo, egli perviene a raccontare della prima donna – umana e divina a un tempo, pura forma e puro spirito – che i suoi occhi hanno visto, con l’ansia di prendere e di trascendere, con la gioia di «possedere un tesoro che nessuno mi potrà mai portar via», di
«avere la femmina e raggiungere l’angelo: quel grande angelo misterioso, di forma soave […] Una gioia immensa, la gioia di cominciare ad esistere mi inondò l’anima di dolcezza.»
La qual cosa riporta alla memoria la figura della donna-angelo del Dolce Stil Novo, le cui peculiarità – interpretate in chiave teologica – sono la bellezza proveniente da Dio e le virtutes che di conseguenza ella possiede. Questo ingentilisce l’animo dell’uomo e il desiderio brutalmente carnale si trasforma, perfezionandosi ed elevandosi, in un nobile sentimento d’Amore. «Al cor gentil rempaira sempre amore» recita, infatti, il primo verso delle Rime di Guido Guinizzelli, considerate il manifesto della corrente stilnovista.
Eppure, il filone interpretativo da seguire è un altro e fa capo alla leggenda ebraica di Lilith, la sorella di Lucifero e la prima donna di Adamo. Ecco palesarsi a questo punto una nuova dicotomia: Lilith-Eva. La prima è la donna dei sensi, la seconda della legge; la prima ispira l’uomo a emulare Dio e lo illude di essere eterno («Anche le stelle sono nell’orbita dell’uomo. […] Non vi è spazio vivo che non sia stato creato per la conquista dell’uomo»), la seconda condivide con Adamo le gioie e le tristezze del mondo e dalla loro unione nasce l’umanità. Lilith è il prototipo della donna libera ed emancipata, Eva è la sposa, la madre, la sorella, la compagna e la schiava dell’uomo.
«Nascono al mondo donne impastate di umano e divino come Lilith. Sono più rare di quelle che somigliano ad Eva, ma ogni uomo può conoscere o anche soltanto sfiorare la sua Lilith. Creatura dannata, per giudizio del mondo, fin da quando muove i suoi primi passi di femmina. Quando si convincerà il mondo che la sensualità è la risultante di una determinata costituzione organica nella donna e non un vizio che essa acquista?»
Comincia così una straordinaria storia d’amore, in cui le parole artefatte e complicate sono surclassate dalla naturalezza del sentimento, dalla purezza delle sensazioni, dalla febbricitante coscienza di esistere.
Giunto in Germania, Andrea frequenta una scuola tedesca, studia ininterrottamente, s’interessa a poco a poco della vie sociale, e vive pienamente la relazione con Else-Lilith, «tragico dèmone di bellezza […] incitatrice ed ispiratrice, disperazione dei miei sensi e speranza del mio domani». Tale felicità è però destinata a finire. I due amanti si ritroveranno ben presto divisi e la frenesia dell’amore è spazzata via dall’inferno della catastrofe bellica.
Solitudine, nostalgia e rassegnazione saranno i sentimenti predominanti del protagonista. E mentre Else affronta un evento lietissimo, nonostante il dolore “inumano e transumano” che anch’ella avverte come uno spillo impercettibile, lui plasma nuovamente la sua esistenza. Sposa un’altra donna, Maria, e con lei forma una famiglia:
«L’amo come una necessità primordiale, la più semplice; […] Accanto a lei non sento la gioia di faticare, ma solamente quella assai più dolce di vivere e di veder vivere, veder trascorrere il tempo, alternarsi le stagioni.»
Tuttavia Else è il suo pensiero fisso, il suo tormento: «Viveva nel mio sangue come femmina, nella mia anima come angelo incitatore ed ispiratore». E se è vero che “le storie d’amore che non finiscono mai sono quelle che neppure cominciano”, non è meno vero che la potenza di un sentimento nobile e vero, capace di resistere al passare del tempo e di non essere corroso dal tarlo della lontananza, allora anche Else e Andrea resteranno per sempre distanti ma vicini, separati ma uniti.
E questa è la storia (o la parabola) di Adamo:
«Io ho sempre voluto essere nient’altro che un uomo, nel pieno possesso delle sue facoltà fisiche e morali; io ho svolto la parabola di Adamo in tutta la possibilità del suo sviluppo da quando, nella sua bruta materia, fu soffiata un’anima, fino a quando, con quest’anima, egli giunse alle soglie della divinità. Importante è considerare come la umana carne di cui siamo impastati possa, macerata al fuoco dell’amore, condurci al divino. E come quello che noi consideriamo il nostro dèmone sia talvolta uno strumento di Dio, di cui esso ci è sembrato nemico.»
Lilith, l’angelo-dèmone, il dèmone-femmina, è sì una storia d’amore che prende spunto da una tradizione leggendaria e che possiede una letteratura ampia e diffusa che dall’antichità è giunta ai nostri giorni, ma è anche la storia dell’essere donna. È un romanzo che celebra la forza della donna, il coraggio della rinuncia, dell’accettazione di un destino infausto, della dignità con la quale ella – Lilith, in questo caso specifico – affronta il suo più grande, inenarrabile dolore.
Lettura consigliata!
© Antonietta Florio
[…] c’è che non va in me?». Seguire l’istinto non sarà mai il suo mestiere ed è per questo che Lilith, la prima donna di Adamo, raccontata da Salvator Gotta lo redarguirebbe […]
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