Yuriy Tykhovlis, Juxtapax. Tommaso d’Aquino contro l’attuale crisi della giustizia

«Il bene comune comprende tutti gli aspetti della vita sociale, e le azioni che possono essere valutate in termini di rettitudine e di vita buona sono dirette a promuoverlo. E siccome l’esercizio delle virtù porta il soggetto agente a contribuire al bene comune, l’assetto pubblico, instaurato grazie alle menzionate virtù, non è altro che l’ordine di giustizia, che tende alla promozione del bene comune. Quindi, per via dell’esercizio virtuoso si attua la giustizia sociale e legale, vale a dire, la giustizia include in sé l’azione virtuosa del soggetto agente che tende alla realizzazione del bene comune. A questo punto tutti gli atti volti alla promozione del bene pubblico interessano direttamente quella dimensione della giustizia che regola la corrispondenza tra il Tutto sociale e il singolo membro di essa.» (Y. Tykhovlis, Juxtapax. Tommaso d’Aquino contro l’attuale crisi della giustizia)

La giustizia e la pace, il valore della libertà e l’essenza dell’uomo, quale «individuo che possiede libertà e intelligenza in forza della propria dignità personale», sono i nuclei tematici su cui si focalizza Yuriy Tykhovlis nel saggio Juxtapax. Tommaso d’Aquino contro l’attuale crisi della giustizia. Il pensiero filosofico-giuridico dell’Aquinate, viene analizzato alla luce delle problematiche che alimentano il dibattito sociale odierno per scoprire se le realtà della pace e della giustizia siano «enti a sé stanti o se esistono in funzione di altre realtà, funzionali a finalità più alte».

L’autore si concentra sui concetti di iustitia e di pax nella visione tomista, facendo riferimento ad alcune delle maggiori opere dell’Angelico Dottore, in particolare la Summa Theologiae, per poi passare in rassegna le interpretazioni di alcuni tomisti contemporanei per ciò che concerne il rapporto tra le due nozioni oggetto di studio (Giuseppe Graneris, Louis Lachance, Ottavio de Bertolis). Ma procediamo con ordine.

Innanzitutto, Tykhovlis sottolinea che il pensiero filosofico-giuridico tommasiano ha un duplice indirizzo: moralista, poiché egli vede «il diritto con la lente della giustizia, nei suoi aspetti di virtù morale e soprannaturale»; cristiano, giacché evidenzia la partecipazione del diritto terreno alla legge divina. E di conseguenza – come si vedrà in seguito – l’azione umana partecipa di quella divina per analogia, laddove si scorge il desiderio dell’uomo di somigliare a Dio (imago Dei):

«Tanto il nostro agire quanto il nostro essere assomigliano all’agire e all’essere del Signore in modo contingente, coartato e limitato dalle condizioni dettate dalla nostra essenza. Tale somiglianza, pur limitata, con l’Artefice contiene in sé la possibilità della perfezione nella tensione verso una sempre maggiore somiglianza al Creatore […] in tutto e per tutto.»

Nella visione dell’Aquinate il diritto (ius) non procede cronologicamente e ontologicamente la giustizia; al contrario, la virtù (etica) della iustita è conseguenza del diritto, lo usa come materia prima e, a sua volta, lo ius nasce e si sviluppa nelle relazioni interpersonali. Pertanto, i presupposti e le condizioni necessari per il giusto compimento di un’azione sono: la libertà di scelta; l’alterità (o intersoggettività), dunque presenza dell’altro; l’uguaglianza; l’esteriorità. Tykhovlis nota in proposito:

«La giustizia non conosce né razze, né colori, né religioni, né ideologie: essa promuove la cosa giusta, e non un giusto astratto o concettualizzato in modo speculativo. Si serve del dato concreto, detto la ipsa res iusta, la stessa cosa giusta. A partire dai dati esperienziali, si crea il caso giuridico, che si serve degli strumenti creati a seconda degli stessi dati della res, i quali fondano altresì l’oggetto della giustizia, chiamato ius

A prescindere dalla distinzione tra diritto naturale e diritto positivo, ciò che preme sottolineare è che il fondamento ultimo di ogni diritto è la persona umana e la finalità della giustizia (generale) è il bene comune (valore assoluto). Esso dipende ed è promosso dal bene particolare del singolo individuo, la cui caratteristica intrinseca è la facoltà di socializzazione. Del resto, nel Commento alle “Sentenze di Pietro Lombardo”, l’Aquinate asserisce che

«L’atto della giustizia è di rendere a ciascuno il suo. […] In altro modo, quando l’opera di giustizia che viene resa su richiesta di qualcuno non si volge direttamente al bene del richiedente, ma piuttosto al bene dello Stato; […]»

Per ciò che concerne la questione della pace, in Tommaso d’Aquino, Tykhovlis ne rileva una caratteristica trascendentale, essendo la pax considerata come dono della Provvidenza e come un «modo attraverso il quale, al pari della bontà, possiamo attingere la realtà di Dio». Dunque, la pace non è un fine a sé stante, ma è il mezzo tramite cui raggiungere il fine, la conditio sine qua non senza la quale non si può raggiungere la mèta voluta, ossia il Bene.

Nello specifico, l’Angelico Dottore considera la pace quale assenza di ostacoli, come quiete e, riecheggiando il vescovo d’Ippona, come «tranquillità dell’ordine», la qual cosa consente il conseguimento della felicità:

«l’ordine tra gli uomini è volto al bene comune, che si instaura per mezzo della pace, la quale, a sua volta, altro non è che l’ordinata concordia. […] la pace è uguale alla ordinata concordia che, a sua volta, è l’ordine instaurato dalla legge divina.»

A questo punto viene evidenziata l’interrelazione tra la giustizia e la pace, laddove la prima garantisce e conserva la seconda, nonostante i rischi di corruzione, disparità di onori e sproporzione delle ricchezze.

Altre componenti essenziali e imprescindibili che l’Aquinate individua per la costruzione della pace, L’Aquinate individua tre ulteriori componenti essenziali e imprescindibili. Ovvero: l’amore, che è una «virtù, un’energia trascendentale, la manifestazione tangibile dello Spirito Santo»; la carità, quale «centro della vita individuale e sociale della persona umana», e l’aiuto reciproco, poiché aiutare non è un diritto, non è un obbligo, ma un’«azione virtuosa».

Nella parte conclusiva di Juxtapax, Yuriy Tykhovlis passando in rassegna il pensiero del giurista sulmonese Giuseppe Capograssi e dell’avvocato indiano Amartya Kumar Sen, tenta di illustrare la validità del paradigma filosofico-giuridico di Tommaso d’Aquino nel panorama odierno. Ciò che ne emerge è che

«Senza la pace non può regnare la giustizia e senza l’ordine di giustizia non si ha una pace vera e duratura. Entrambe queste realtà costituiscono le dimensioni necessarie per permettere a tutti e a ciascuno di raggiungere la maggiore perfezione possibile in termini sociali e personali.»

© Antonietta Florio

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