Eleonora Scali, Prove tecniche di solitudine. Un viaggio dentro e fuori di me

«Sono una maestra nel piangermi addosso. Insieme a Madama Ansia mi trascino dietro da una vita il signor Autocommiserazione. Da piccola mi sentivo segnata dalla macchia della sfortuna. Somatizzata nel tempo, questa macchia si è allargata a dismisura. Ho costruito una lente d’ingrandimento con la quale mi costringo a guardare sempre il dettaglio, cioè le cose che vanno storte e mai l’opera nel suo complesso ovvero quanto di bello è presente nella mia vita. Invidio molto chi riesce a godere delle piccole cose. Perché, se è vero che chiunque vorrebbe una vita perfetta, è altrettanto vero che viverla con più accondiscendenza toglie molti pesi dall’anima.» (E. Scali, Prove tecniche di solitudine. Un viaggio fuori e dentro di me)

Un viaggio come occasione per conoscere e soprattutto per conoscersi; un viaggio per mettersi alla prova, per crescere e maturare. Un viaggio all’altro capo del mondo, in Nuova Zelanda nella fattispecie, per sfidare se stessi. Tutto questo confluisce nel diario di bordo di Eleonora Scali, un diario dal titolo significativo: Prove tecniche di solitudine. Un viaggio fuori e dentro di me.

Un viaggio peculiare, là dove la descrizione del paesaggio neozelandese con panorami mozzafiato, la natura incontaminata nella sua potenza e maestosità, con inflessioni riflessive sull’interculturalità e il diverso modus vivendi, sono all’origine di domande, perplessità, umorismo e ironia che l’Autrice non esita a ostentare, rinviandoci l’immagine di un Paese che non è così perfetto come sembra in apparenza. Infatti, annota:

«Da quando sono arrivata, la Nuova Zelanda mi provoca questa sensazione di artificiosità: è tutto così preciso, così lindo, così curato da sembrare finto; il traffico è ridottissimo, poca la gente in giro (anche qui, ad esempio, non c’è anima viva), nessun rumore, non una cartaccia per terra o un sassolino fuori posto. Mi domando chi si occupi della manutenzione, e soprattutto, per chi.»

Ma non è soltanto questo. Tali osservazioni s’intrecciano sovente con i suoi propri sentimenti, con la sua vita, non limitandosi unicamente all’ultimo periodo pre-partenza, esausta e nauseata da eventi e circostanze esecrabili sia nel privato, sia sul piano lavorativo, ma considerandola sin dall’infanzia:

«Sono qui, in Nuova Zelanda, perché ho deciso che non potevo più perdere tempo, sono saltata su un volo e mi sono lasciata tutto alle spalle, cammino cercando di farmi scivolare addosso la fatica e la paura di crollare.»

L’immagine che Eleonora dà di se stessa, lasciandosi conoscere a 360 gradi è l’immagine di una donna che, fino ad oggi, ha compiuto delle scelte che in realtà ha sentito come un dovere. Il dovere di ricompensare i genitori per tutte le possibilità che le hanno dato («mi sono prodigata per compiacerli nella convinzione che solo così avrei ottenuto il loro amore»), il dovere di dare molto alle persone amate, senza tuttavia ricevere nulla (o quasi) in cambio («Ho dato così tanto che mi sento svuotata»).

Allora non si può recriminare Rousseau se all’inizio del Contract sociale osserva con acume che “l’uomo nasce libero, ma è con le catene ovunque”. Certo, si tratta di un contesto diverso, ma scambiando l’ordine degli addendi – cioè passando dal piano sociale a quello più strettamente personale – il risultato non cambia, il significato resta pressoché immutato. Non vi è nulla di peggio, infatti, delle frustrazioni che ci si auto-infligge, non vi sono gabbie peggiori di quelle in cui ci si rinchiude, gettando persino la chiave.

Scardinare la suddetta massima rousseauiana, recuperare la chiave e finalmente liberarsi per sperimentare e abbracciare la «felicitudine», la felicità nella solitudine, diventa il vero obiettivo di Eleonora, il motivo per il quale, armandosi di coraggio, intraprende questa avventura.

A poco a poco, tra un ostello e l’altro, tra una cucina e l’altra di cui si riesce a sentire l’aroma e talvolta addirittura il sapore delle pietanze preparate, tra escursioni e gite in preda a Madama Ansia e il signor Autocommiserazione – compagni di viaggio onnipresenti – Eleonora si disvela. Già, perché per rendere giustizia al sottotitolo del suo diario di bordo, il viaggio dentro se stessa non è meno intenso e impervio della scalata al Glow Worm.

Dal Nord al Sud dell’isola neozelandese, l’Autrice si mette alla prova ed è questa la magia del voyage: imparare a stare da sola, sfidare se stessa per accorgersi che si può sopravvivere anche stando in solitaria, che da soli si può superare anche ciò che è imprevedibile, per quanto intollerabile e inaccettabile. Eppure,

«tante volte ho paura, mi agito per nulla o mi pongo problemi che non esistono; in altre occasioni mi comporto da incosciente, non tengo conto che non c’è nessuno al mio fianco ad aiutarmi in caso di difficoltà. La cosa che mi manca di più è la condivisione dell’esperienza di viaggio con qualcuno, ma per me viaggiare è così importante, che sono disposta a farlo anche da sola.»

È così che si apre la via al cambiamento, diventando più forti e acquistando più sicurezza. Non immuni alla sofferenza, non chiudendo il cuore entro una gabbia di ferro; si tratta, più semplicemente, di essere intransigenti nei confronti degli altri e più transigenti e clementi verso se stessi. Del resto, dobbiamo (con)vivere con noi stessi per tutta la vita e non andare d’accordo è un bel problema. Anzi, un casino.

Da questa esperienza, dunque, Eleonora deve «imparare a soddisfare le mie esigenze prima di quelle degli altri anche se questo dovesse comportare il rimanere sola». Tuttavia non sarà sola. Incontrerà ovunque persone con le quali costruisce un solido rapporto d’amicizia che, a conclusione del viaggio, ricorderà con una certa emozione.

Ma soprattutto da questa esperienza l’Autrice avrà imparato a cavarsela da sola, a stare bene anche da sola e che si può essere felici anche perseguendo i propri interessi e i propri sogni, anche se non sono esattamente rispondenti a ciò che gli altri pensano sia il nostro bene.

«Una cosa ho capito: tecnicamente è possibile abituarsi a fare qualsiasi cosa da soli. Però, noi umani non siamo fatti per vivere in solitudine, siamo esseri sociali. E a questo non c’è rimedio.»

Lettura consigliata! Good luck!

© Antonietta Florio

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