«“Oh, quanto erano erronei i nostri sentimenti!/ Oh, come siamo soggetti al destino!/ Inutilmente negli animi bolle il coraggio:/ Già è giunta la fine della lotta:/ Un attimo ha deciso tutto/ Un attimo ha distrutto/ Per sempre la speranza, la felicità/ E la pace del mio paese./ Ma devo umiliarmi?/ Non voglio essere schiavo del destino./ […] cercherò/ Con tutti i mezzi e tutte le maniere,/ Per tutta la mia vita,/ Di aiutare la terra natale.» (K. F. Rylèev, Voinaròvskij. Un eroe della libertà ucraina)

Articolato in due parti, Voinaròvskij. Un eroe della libertà ucraina di Kondratij Fëdorovič Rylèev e dedicato all’amico Nikolaij Aleksandrovič Bestùžev, è un poema che rievoca la rivolta ucraina contro Pietro il Grande. Amore per la patria e libertà sono le tematiche principali che permeano il poema in questione tanto più ricco e profondo quanto più in esso e da esso scaturisce un affresco di sentimenti e commozioni.
Ciò che colpisce, sin dai primissimi versi, è la sensibilità poetica, la dolcezza unita a una sconfinata e cupa amarezza, alla malinconia e alla solitudine dell’esilio in terra siberiana cui Voinarovskij è condannato e che lo rende preda di un atroce e implacabile tormento. Allora, come viene giustamente notato da Pier Luigi Coda nell’Introduzione – il verso si (fa) anima, in esso «si libera il soffio del tempo e della vita» ed è così che diventa poesia.
Vita e rivoluzione, politica e letteratura, amore e violenza, guerra e pace e molte altre dicotomie attraversano le pagine del Voinaròvskij di Rylèev, un personaggio al quale sono state riconosciute le tipiche caratteristiche dell’eroe romantico.
È Voinaròvskij a parlare, a ripercorrere il periodo più buio della sua esistenza. Un’oscurità che s’ispessisce sempre più, che è sempre più gravosa, ma che d’un tratto, al ricordo dell’ardore della gioventù, sembra sospendersi, subisce una sorta d’interruzione, sia pure per brevissimi istanti.
È attraverso le sue parole che il lettore lo conosce ed entra delicatamente nella sua vita; è con frasi cariche di mestizia impossibile da consolare che Voinaròvskij si presenta allo scienziato illuminista Miller e, per mezzo di lui, a noi, che non possiamo non provare empatia e fare nostre le sue tribolazioni:
«Vedi, sono selvaggio e cupo,/ Vago come uno scheletro, gli occhi infossati/ E sulla fronte ho i segni del mio dolore. […] Mi aggiro in mezzo a boschi e rocce minacciose/ Come un prigioniero eterno, desolato./ Mi sento invecchiato, inselvatichito,/ E freddo come il clima siberiano.»
Ed ecco che si dipanano i ricordi di famiglia, ecco che mette a nudo il suo cuore quando, in conversazione con chi condivide la medesima tragica sorte, torna indietro nel tempo e il baluginio della rimembranza sembra lenire per un attimo, e solo apparentemente, all’afflizione psicologica dell’eroe ucraino.
Malgrado l’avvento bellico abbia distrutto i suoi sogni, trasformando l’amore e la felicità in meri elementi concettuali che possono oramai risiedere soltanto nella vis interior, e sopraffatto dalla ferocia dell’avversario che nulla ha risparmiato, Voinaròvskij ha tuttavia saputo conservare un’anima candida, anche se infinitamente triste e priva di speranza e di fede.
La solitudine forzata e l’allontanamento da tutto ciò che gli è più caro non hanno inaridito la sua essentia, né indurito il cuore, né lo hanno privato della forza e della voglia di vivere:
«Tu vedi come soffro,/ Come è dura la vita in esilio;/ Per me la morte sarebbe un conforto/ Ma io disprezzo la vita e la morte…/ Ma devo vivere ancora; arde in me/ L’amore acceso per il paese natale./ Un giorno, forse, verrà ancora un amico del popolo/ Che salverà i concittadini sfortunati,/ E farà risorgere/ La passata dignità dei padri/ E la primitiva libertà.»
In ogni momento Voinaròvskij risente della mancanza della leggerezza e della spensieratezza, della libertà di essere ciò che è nella sua terra natìa. Eppure, nella sciagura la fortuna. O, per meglio dire, le fortune, l’una e l’altra interdipendenti e ruotanti intorno alla figura femminile di “una giovane cosacca”.
Da lei Voinaròvskij trae nuova linfa e grazie a lei riaccende il lumen dell’entusiasmo, ricordando chi è e qual è il suo principio primo: servire la patria e per essa sacrificarsi al fine di liberarla dall’oppressione della tirannia. Costi quel che costi.
Vessillo di questo componimento poetico di Rylèev, pullulante di sentimenti vivaci, in cui eroismo e rivoluzione non possono in alcun modo essere disgiunti dal dolore e dalla morte, è la formula: «Io non sono Poeta, ma Cittadino», laddove con il terminus “cittadino” si fa riferimento a un oratore eloquente, che dimostra con determinatezza e ferma persuasione «il fascino della libertà e la natura intollerabile della schiavitù».
E questo vale sia per Voinaròvskij. Un eroe della libertà ucraina, sia per l’Autore, la cui attività poetica si configura – anzi è – l’unica maniera per placare la sete di libertà, che può essere conseguita solo tramite il sacrificio.
© Antonietta Florio