Carla Maria Russo, Una storia privata. La saga dei Morando

«Dovevo provare a raccogliere le idee, a riflettere sulla mia condizione ma mi sentivo un cieco che si muove a tentoni in uno spazio sconosciuto, in una dimensione di cui ignora i confini e le caratteristiche. Avvertivo tutto il peso del mio isolamento, della mia solitudine, sebbene entrambi fossero conseguenze delle mie scelte. In quale baratro mi aveva scaraventato, il passato?» (C. M. Russo, Una storia privata)

Milano, anni Trenta-Quaranta del Novecento. Pietro Morando, fondatore del colosso Morando Costruzioni, costruisce tutta la sua vita sulla corruzione e sull’inganno, sul tradimento e sulla falsità sia nei confronti degli altri, sia nei confronti della sua stessa famiglia.

Segreti e occultamenti di verità sepolte sotto una spessa coltre di ambiguità e paradossi, trasformatisi via via in menzogne sempre più grandi, cominciano a rischiararsi quando il figlio Emanuele (Manuel, «con l’accento sulla “e”» d’ora in avanti), in un giorno apparentemente normale, un giorno come tutti gli altri, lo vede sottobraccio a una donna molto più giovane di lui «e il mondo come l’avevo sempre conosciuto si era capovolto».

Il qui pro quo è all’ordine del giorno e, molto spesso, l’occhio viene ingannato anche in ciò che realmente vede e scruta. Quella visione e il successivo incontro con quella donna, il notaio Giulia Ruggeri, metterà in moto l’azione narrativa vera e propria, rivelando una realtà non soltanto diversa, ma addirittura peggiore di quanto ipotizzato.

Il sopraccitato incontro sarà la goccia che farà traboccare il vaso e fornirà a Manuel la chiave per aprire la cassetta del passato – a quanto pare poco, o per nulla chiaro, della famiglia Morando – e, con fare da detective, ripercorrerà la storia. La sua storia. Il percorso sarà tortuoso e disseminato di ordigni pronti a esplodere in qualunque momento, distruggendo brutalmente tutte le certezze:

«Ma ecco che l’equilibrio si rompe, una flessione a stento percepibile eppure sufficiente a segnare il mio destino, perché la precarietà della condizione umana risiede proprio lì, nelle variazioni infinitesimali […]»

Comincia così Una storia privata. La saga dei Morando di Carla Maria Russo. Raccontato in prima persona dallo stesso Emanuele, il déroulement narratif del romanzo viaggia sul duplice binario del presente e del passato, che corrisponde di fatto alla suddivisione dei capitoli, alternando alla prima persona, affidata a Emanuele, la narrazione in terza persona nelle parti che invece sono incentrate sulla figura genitoriale, chi era, cosa faceva, chi erano i suoi amici, come si muoveva nel vasto e prolifico universo delle sue conoscenze.

Si spazia, dunque, tra due diverse epoche storiche, i cui strascichi sono indelebili; si esplora la realtà famigliare in un continuum tra passato e presente, in cui, se si vuole, si può scorgere l’eco nicciano dell’eterno ritorno. L’apparato storico-narrativo, finemente psicologizzato, fa sì che il lettore si affezioni ad ognuno dei personaggi, provando talvolta empatia, talvolta compassione, talvolta addirittura giungendo ai limiti di un’acre antipatia. E, a fine lettura, avrà come l’impressione di conoscerli davvero!

Emanuele e Pietro, Giulia e Linda (la madre di Emanuele) sono figure speculari e contrapposte. A dividerli non è soltanto un’intera generazione e/o il diverso contesto storico, bensì anche – e molto di più – il loro temperamento, la forza e il carattere con cui affrontano eventi e situazioni, che preludono a un drastico cambiamento di vita.

Manuel, in particolare, si contraddistingue dal padre, come pure dai fratelli, per due ordini di motivi. Anzitutto perché sceglie di vivere una vita diversa, di non impicciarsi degli affari di famiglia, preferendo mettere a frutto le sue doti e rendendo realtà i suoi sogni: lavorare come editor per una casa editrice.

Ben presto, dunque, ci si rende conto che egli è caparbio come Pietro, ma rispetto a lui e agli altri, è diverso, anche per ciò che concerne l’orientamento politico (padre di destra, figlio di sinistra). Tutte queste differenze producono in Manuel un sentimento di straniamento:

«sono sempre stato un disadattato all’interno del mio nucleo familiare, catalogato per lungo tempo con l’appellativo di originale, termine ambiguo, denso di tutte le preoccupazioni che nessuno per parecchio tempo osò rendere esplicite, fino a quando, un bel giorno, mia madre si fece coraggio e affrontò il discorso.»

L’altro motivo che pure lo allontana dagli altri è il desiderio di scoprire la vera storia della famiglia Morando, per la serie “non è tutto oro, ciò che luccica”. A metterlo sulla strada è proprio Giulia, ma a fornire i pezzi per (ri)comporre il puzzle è l’anziana Brigida, la quale in questo processo di decostruzione-ricostruzione svolge un ruolo cruciale.

Eppure, nonostante queste diversità, irriducibili a prima vista, padre e figlio sono più accomunati di quanto si crede. Ambedue, infatti, hanno la percezione di un’insoddisfazione in seno a entrambi i nuclei familiari.

S’inserisce qui la ricerca spasmodica e non meno pericolosa della verità, condotta e scoperta in modi diversi, ma i cui esiti saranno i medesimi per entrambi: devastazione dell’anima, frammentazione identitaria e smantellamento di quel meraviglioso e innocente complesso architettonico che c’impegniamo a tenere in piedi tra realtà e immaginazione:

«La verità è pericolosa, può procurare danni devastanti, innescare processi disastrosi […]. Quelli come te, con la verità devono andarci cauti, bello mio, perché è dinamite, e soprattutto, quando la si ricerca, bisognerebbe avere l’onestà intellettuale di ricercarla per intero, tutta la verità, non solo i frammenti che a noi piacciono o sono utili al nostro scopo.»

È giunto, per Manuel, il momento di fare i conti con i sentimenti. Impossibile procrastinare ancora. Per poter godere appieno della gioia dell’amore, dovrà riportare a galla tutto ciò che della famiglia Morando è stato sempre tenuto nascosto. L’appuntamento con l’amore, dunque, deve attendere, perché bisogna, come primo passo, regolare i conti con il passato:

«Il passato esiste, Emanuele, non si cancella. E pesa, ci condiziona, invade la nostra vita e la deforma. Tu ne sei consapevole quanto me e ne hai paura quanto me. Ci siamo impegnati a tenerlo fuori dal nostro amore, ma entrambi sappiamo che ci sta aspettando. È lì che abbiamo appuntamento stasera. Inutile rinviare, serve solo a farsi altro male.»

Eppure… a nulla vale scavare nel passato, risalire alle ragioni per le quali è stata compiuta una scelta piuttosto che un’altra. È un’operazione, quello dello scavo, che non solo arreca sofferenze e dolore, ma non porta alla destinazione sperata.

Si possono usare tutti i mezzi, porsi qualsivoglia interrogativo e ricercare risposte ovunque e da chiunque, ma l’unica vera risposta riposa dentro l’anima, perché come Manuel, anche il lettore – alla fine della storia e in una tensione sempre crescente – resta «a mani nude, privo di qualunque verità, e di qualunque certezza, se non quelle che io stesso decidevo di scegliere e accettare».

Lettura consigliata!

© Antonietta Florio

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