Osvaldo Guerrieri, Schiava di Picasso

«Con lei Picasso smetteva di fare il padrone, ordinava e vietava, senza contare le volte in cui la trattava come una pezza da piedi e la faceva sentire una nullità. In fin dei conti Dora era soltanto una donna. Lui invece era Picasso. E Picasso era l’uomo dei miracoli, gli bastava schioccare le dita per provocare magie. Da lui si poteva sopportare anche l’inferno, ottenendo in cambio la sublime illusione di vivere al centro dell’universo.» (O. Guerrieri, Schiava di Picasso)

Schiava di Picasso di Osvaldo Guerrieri racconta la vita tormentata di Dora Maar, brillante e affascinante fotografa surrealista, di origini croate, dagli occhi misteriosi e sempre tristi, che s’innamora di Pablo Picasso, dal quale non è contraccambiata nello stesso modo. O almeno, non come vorrebbe lei.

La storia comincia negli anni Trenta del Novecento, pochi anni prima dello scoppio della Seconda guerra mondiale, e l’Autore segue Dora, desiderosa di costruirsi un’identità e una carriera brillante:

«Lavorare per le riviste di moda e per la pubblicità non le dava soltanto da vivere, le scatenava passioni. […] lavorando di tecnica e di fantasia, inseguiva forme e illusionismi ottici. Così facendo sperava di riuscire a svelare il lato invisibile della vita e degli uomini. Si augurava di diventare tanto brava da ricreare la realtà fino a trasformarla in una surrealtà. Un modo doveva esistere.»

Poco a poco si stacca dalla famiglia, raggiunge una sua propria indipendenza e molte sono le figure che la sostengono e la aiutano in questo percorso: da Man Ray a Max Ernst, da Paul Éluard a Georges Bataille, allo psicanalista Jacques Lacan e ai frequenti ritrovi al Café de Flore di Parigi.

In questa prima parte di vita, fatta appunto di progetti, desideri, sogni, speranze, Dora si confida con il filosofo Bataille, del quale ne diventa l’amante. La dolcezza degli incontri, la spensieratezza e la gaiezza dei primi tempi sono destinate a mutarsi in sofferenze fisiche e psichiche a un tempo.

Malgrado l’umiliazione, il disgusto e persino il rancore, che sorgono quando la fotografa scopre il lato nascosto di Bataille, Dora non riesce a staccarsi da lui:

«Sopportava tutto e gioiva delle carezze che, di quando in quando le venivano elargite e, proprio come un cane, leccava la mano del padrone.»

Va avanti così fino a quando, un giorno comprende l’assoluta necessità di allontanarsi da quest’uomo. Comincia, finalmente, un nuovo capitolo. Il suo nome è Pablo Picasso. Immediatamente i due entrano in sintonia: mentre lui lavora ai suoi quadri, lei lo fotografa nelle pose più varie e balzane. Sono quelli i momenti in cui Dora avverte una certa pienezza, di sentirsi tutt’uno con l’uomo che ama.

Ma quanto lei è bella e intelligente, tanto lui è prepotente ed estremamente narcisistico. Non ci vorrà molto prima che Dora, anche stavolta, si ritrovi in trincea. Il pozzo in cui cade è senza fondo. È entrata in un vicolo cieco e per la paura di perdere Pablo accetta ogni cosa. Persino le altre “signore Picasso”. Infatti:

«Non era facile trovare un punto d’equilibrio e forse era inutile cercarlo. Dora aveva capito che esisteva un solo modo per evitare la guerra: non dichiararla. L’unica mossa possibile era chinare la testa e obbedire a Picasso in tutto, anche nei capricci e nei malumori. Doveva agire così se lo amava, se veramente teneva a lui e se non voleva perderlo.»

Ma a quale prezzo sopportare un tale vilipendio? E, soprattutto, ne vale davvero la pena anche se l’uomo in questione è Picasso? Per Dora, sì. Dora è disposta a tutto, salvo rinunciare alla fotografia. Decide di organizzare un vernissage, ma anche nel suo paradiso professionale, ella si ritrova a subire la presenza del pittore, che diventa il protagonista della scena.

Il tentativo, l’occasione di ristabilire il «proprio valore agli occhi di se stessa prima ancora che degli altri» fallisce miseramente. Si sente annullata come persona e come donna, eppure se Picasso si presentasse da lei, nonostante le mostruosità e le crudeltà, nonostante le lacrime (Picasso, infatti, l’aveva denominata la femme qui pleure) è sicura che non lo rifiuterà.

Frattanto, l’Autore, pur senza perdere di vista Dora, ci mostra Picasso alle prese con il suo quadro più celebre: Guernica. Qui storia, arte, fotografia, vita e amore si intrecciano in un crescendo di emozioni contrastanti e che raggiungono l’apice quando, dopo aver terminato il dipinto, Dora e Picasso litigano furiosamente e lui le dice: «Se io sono il diavolo, tu sei l’angelo uscito dalla brace. Perciò sei mia sottomessa».

E la guerra che poc’anzi aveva scelto di non dichiarare, l’equilibrio che aveva cercato di mantenere, il rifugio precario (troppo) che si era costruita, tutto finisce col presentare a Dora un conto salato. Sia la guerra che sta seminando morte e distruzione, sia la sua guerra personale di amo et odio le ricordano che «nessun luogo può ritenersi felice […] ogni pezzo di terra, anche il più attraente, non è che un inferno».

La distanza che si crea con Picasso è direttamente proporzionale al vuoto che sente dentro sé stessa, alla fragilità e alla volubilità interiore che si acuiscono quando perde sua madre e quando il pittore la lascia per una ragazza molto più giovane. Il processo di autodistruzione e di annientamento a cui Dora non sa trovare una soluzione, la via d’uscita che da sola non riesce (o non ha voluto?) vedere, tutto questo la getta in uno stato di profonda depressione.

Viene perciò internata, subisce numerosi elettroshock, ma… dopo il buio, dopo tante sofferenze, ecco che comincia per lei una nuova vita. Più limpida, più leggera (che non è superficialità, come dice Calvino) e più innocente, dove a contare non è tanto ciò che sarà il futuro, ma il presente. Il miracolo del presente, senza più Picasso, senza più tradimenti e crudeltà, ma pieno di Amore, Perdono e Umiltà: «Dopo Picasso, soltanto Dio».

Il resto è storia. Dora Maar si spegne nel 1997 ed è stata una delle amanti che sopravvisse a Picasso, una delle poche a non suicidarsi, perché «non ti avrei mai dato questa soddisfazione». È in questo modo che ella si riscatta: scegliendo la (sua) vita, di non lasciarsi più comandare, di non adeguarsi più, di non subire più, perché – e a dirlo è Oriana Fallaci – «chi ama la vita è sempre con il fucile alla finestra per difendere la vita».

Amore, non sottomissione!

© Antonietta Florio

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