Jake Morrissey, Geni rivali. Bernini, Borromini e la creazione di Roma barocca

«Se qualcuno ha inventato la Roma che ci affascina, questi sono Bernini e Borromini. è stata la loro passione, il loro modo di vedere a consegnarci la Roma esuberante di chiese di travertino e le ampie piazze di granito. La Roma dalle cupole imponenti che si protendono verso Dio e gli ampi palazzi che esaltano la forza dell’uomo. La Roma che ricordiamo e quella che sogniamo.» (J. Morrissey, Geni rivali. Bernini, Borromini e la creazione di Roma barocca)

Arte e storia, saggio e romanzo, biografia e documentario, Jake Morrissey in Geni rivali. Bernini, Borromini e la creazione di Roma barocca, mette insieme tutte queste forme narrative facendo viaggiare il lettore, facendogli sperimentare ed esplorare la Roma del Seicento, «capitale di una civiltà sopravvissuta per duemila anni», riportando in auge due artisti al giorno d’oggi forse trascurati: Gian Lorenzo Bernini e Francesco Borromini.

Questa è la loro storia fatta di accordi e disaccordi, di collaborazione e di acerrimi antagonismi, di gloria e sfortuna, cui si aggiunge una lungimirante analisi introspettiva e un’incursione nella sfera sentimentale tale da porli all’attenzione del pubblico come fossero personaggi romanzeschi con le loro debolezze e fragilità.

« [questo] è il racconto contraddittorio di come un artista fioriva abbracciando il mondo, mentre l’altro appassiva allontanandosene. è la storia del loro antagonismo e della superba architettura che ne nacque […] e che quasi quattro secoli dopo essere stati costruiti, hanno ancora il potere di stupire.»

Amici-nemici, il rapporto tra Bernini – «artista intuitivo» e dotato di un’eccezionale sensibilità artistica – e Borromini – «sospettoso, capriccioso e malinconico», tutt’altro che in sintonia con l’ambiente sociale – naviga nelle acque contrastanti di amore e di odio, che si rafforza o perde d’intensità a seconda dei vantaggi che godono grazie ai papi di turno, da Urbano IV a Innocenzo X, e le famiglie cardinalizie più influenti dell’epoca (Pamphili, Barberini, per citarne qualcuna).

Ambedue si concentrano sulla basilica di San Pietro e su Palazzo Barberini, l’uno – Bernini – fedele alla tradizione e l’altro – Borromini – carico di inventiva e aperto alla novità. Una sola cosa è indubbia: il cambiamento epocale del gusto. L’attrito fra i due artisti si acuisce alla morte di Carlo Maderno, ultimo ingegnere di stampo rinascimentale.

Difatti, se Bernini diventa l’artista più influente d’Europa, per Borromini la dipartita del suo maestro significa allontanamento dai mondi dell’arte e della religione della città. Ma non per sempre. Bernini e Borromini sono destinati ad incontrarsi ora per collaborare, ora per competere in modo accanito e sempre più spietato, laddove l’uno eccelleva nella scultura e l’altro nell’architettura.

E così, mentre il Borromini costruisce la chiesa di San Carlo alle Quattro Fontane (nota come San Carlino) e la cupola di Sant’Ivo nell’Archiginnasio (oggi università) La Sapienza, il Bernini dà vita a magnifiche sculture come Apollo e Dafne, La verità svelata dal tempo, quest’ultima rimasta incompiuta, ma comunque carica di un significato intenso e profondo:

«La figura del tempo – dice Bernini – non è finita. La mia idea è di far vedere il Tempo che porta la Verità nell’aria, e al tempo stesso di mostrare gli effetti del tempo che alla fine distrugge e consuma ogni cosa. Nel modello ho messo colonne, obelischi, e mausolei, e queste cose, che sono mostrare sopraffatte e distrutte dal tempo, sono proprio le cose che sostengono il tempo nell”aria, senza le quali egli non potrebbe volare anche se avesse le ali.»

Una menzione a parte merita l’Estasi di Santa Teresa, un’opera scultorea straordinariamente drammatica in quanto viene a cancellarsi il distinguo tra architettura e scultura, tra amore sacro e profano e crea «un nuovo genere di spazio devozionale, dove l’amore di Dio – che per Teresa era “l’unione mistica” – divenne una cosa fisica, palpabile».

A differenziare Borromini e Bernini è la creatività e le ragioni che ne sono alla base. In Gian Lorenzo Bernini la suddetta creatività è sì emozionale e religiosa, per mezzo della creatività l’artista vuole impressionare lo spettatore con la scenografia. Del resto, «era un uomo di spettacolo in tutto e per tutto».

Di tutt’altro tenore è invece la creatività di Francesco Borromini che proviene dal suo intelletto, dalla sua anima. Morrissey scrive in proposito:

«Borromini voleva esprimere la sua fede in Dio e la passione per la sua arte affidandola a una forma geometrica, razionale. Bernini stupiva lasciando che il talento sgorgasse dal cuore; Borromini, invece, sistemando e controllando le meraviglie dell’infinito. Bernini, in cuor suo, era uno scultore che manipolava lo spazio. Borromini era un architetto che lo scolpiva.»

E cosa distingue allora questi due illustri artisti? Per l’Autore è l’approccio individuale al lavoro che li ha resi immortali:

«il modo in cui vissero e il modo in cui lavorarono. Bernini ebbe successo superando le aspettative; Borromini sbalordì sfidandole. La visione artistica di Bernini era persuasiva, solenne, precoce ed emozionale. La sensibilità di Borromini era personale, intuitiva, logica e incorruttibile. Insieme e separatamente, essi lavorarono al meglio delle loro capacità per produrre un’arte che doveva durare. Ci riuscirono. E, facendo ciò, divennero immortali.»

© Antonietta Florio

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