Simone Van Der Vlugt, L’amante di Rembrandt. Storia di un amore proibito

«Quando ami qualcuno drizzi bene le antenne per percepire tutto quello che può minacciare la tua felicità, ma ti lasci anche ingannare facilmente per non affrontare una verità troppo dolorosa.» (S. Van Der Vlugt, L’amante di Rembrandt. Storia di un amore proibito)

Amsterdam, 1650. Geertje Dircks viene arrestata e portata nella casa di correzione di Gouda, colpevole di rottura di contratto, furto e fornicazione. Con il resoconto in prima persona degli ultimi momenti di libertà, prima di una lunga detenzione, comincia L’amante di Rembrandt. Storia di un amore proibito di Simone Van Der Vlugt.

Un salto temporale all’indietro di venti anni ci porta a conoscere la storia di Geertje, una giovane locandiera, semplice e nobile d’animo con un solo desiderio e una sola speranza: «trovare una persona come si deve per mettere su famiglia insieme». La vita gli regala Abraham, un uomo dolce e premuroso, un marinaio innamorato e devoto, con il quale però il destino non sarà generoso.

E non sarà clemente neppure con Geertje. Allettata dalla prospettiva di una vita migliore, nonostante l’incertezza del futuro e il senso di vuoto che l’accompagnerà per sempre e dappertutto, diventa la bambinaia della famiglia Beets. Si affeziona in egual modo a tutti i suoi membri, ma si ritrova nuovamente in preda allo sconforto quando giunge il momento di andare via.

Una peregrinazione infinita, dentro e fuori di sé, che tuttavia è mitigata dalla permanenza dal noto pittore Rembrandt van der Rijn, marito di Saskia, una donna malata di tubercolosi che ben presto passerà a miglior vita. Ed ecco che il pittore e Geertje avranno d’ora innanzi qualcosa in comune: l’aver perso la persona amata.

I giorni passano, e mentre lui si dedica ai suoi quadri, lei si prende cura dei suoi figli, in modo particolare del più piccolo, Titus, fra i quali si instaura un sentimento profondo, come se fossero madre e figlio.

Nel frattempo, però, Geertje sente che qualcosa sta nascendo dentro di sé. Credeva di non essere più in grado di innamorarsi, ma è costretta a ricredersi. La convivenza con Rembrandt e la sua vicinanza aprono nel suo cuore la strada per un nuovo amore:

«Essere riuscita ad arrivare fino a lui mi riempiva di felicità e di orgoglio. […] Aveva spazzato via [Rembrandt] tutto ciò che credevo di sapere dell’amore e mi aveva fatto scoprire qualcosa di molto diverso. Qualcosa che mi attirava irresistibilmente e al tempo stesso mi spaventava.»

Timori e tremori che non sono infondati. La loro relazione, infatti, è destinata a rimanere un segreto: Geertje sarebbe stata (per) sempre la concubina del pittore. Ma, si sa, l’amore è cieco e ottunde il raziocinio, inducendo a credere in cose che non esistono, a scrivere copioni che il regista non accetterà mai di girare. Per lei, però, ogni cosa è possibile.

Sposare Rembrandt non è una probabilità remota, né una speranza vana; al contrario, è una certezza. E così una prima, amara delusione, “che avviluppa il cuore in una morsa gelida”, non tarda ad arrivare:

«La felicità, tuttavia, è uno stato che non dura mai a lungo. Appena si comincia ad abituarsi e a darla per scontata, è il momento di stare attenti.»

Non ci sarebbe mai stato un matrimonio, ma soltanto un simbolo, una sorta di promessa (l’anello di Saskia e altri gioielli) che tuttavia non avrebbe mai avuto un seguito né da un punto di vista legale, né sarebbe stata la garanzia per il loro futuro insieme.

Ciononostante Geertje non si perde d’animo e non si arrende fino a quando l’evidenza dei fatti e l’impossibilità di volgere il vento a proprio favore le darà il pretesto, o meglio, la forza, di tirare fuori gli artigli per difendere e conservare la dignità, per combattere per il suo futuro.

«Ero vecchia e finita», sì, «ero di nuovo al punto di partenza» e soprattutto abbandonata , tradita addirittura, anche da chi avrebbe dovuto starle accanto – come il fratello Pieter – ma Geertje non è assolutamente disposta a spianare la strada al nuovo amore del maestro Van Rijn, a facilitargli la situazione.

Ma chi avrà la peggio tra i due? Mentre Rembrandt prosegue subdolamente con le sue macchinazioni, i raggiri, gli inganni, Geertje conosce la dura realtà della detenzione e il fardello insopportabile della solitudine, preludio di drammatiche elucubrazioni che, a ben vedere, rasentano la realtà dei fatti:

«Il mio dolore più grande è […] la totale inutilità della mia esistenza. Così inutile che le persone che un tempo ho tanto amato mi hanno dimenticata in un batter d’occhio.»

Una reclusione che, una volta di più, la porta a ripercorrere tutta la sua vita, fermandosi proprio sul bordo del precipizio che ha il nome di futuro, sul quale grava una grossa e minacciosa nube. Ma se da un lato vi è un forte rimpianto per il passato, dall’altro sente rinascere la speranza:

«A volte sopra di me si apre un spazio azzurro e radioso, altre volte sopra le case incombe una massa grigia. Ma è aria aperta, una ventata di libertà. Gli uccelli che vedo planare mi ricordano che là fuori esiste ancora il mondo, che tutto continua ad andare avanti come sempre e un giorno lo farà anche per me.»

Riuscirà Geertje, la girlpower del XVII secolo, come la chiama Simone Van Der Vlugt, a riconquistare la libertà? Per scoprirlo, leggete L’amante di Rembrandt. Una cosa, comunque, è certa: attraverso questo romanzo l’eroina (ri)conquista un posto nella storia (dell’arte).

© Antonietta Florio

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