Garry Kasparov, L’inverno sta arrivando

«Dobbiamo decidere quali sono i nostri valori e per cosa vale la pena combattere, e una volta fatto questo ancor più importante è combattere davvero. In caso contrario, la daremo vinta ad altri che credono in valori diversi, sovente ben peggiori dei nostri. La daremo vinta a chi non crede nel valore della vita umana e della libertà, a chi è disposto a combattere per imporre agli altri la propria oscura visione della vita.» (G. Kasparov, L’inverno sta arrivando)

Era il 2016 quando L’inverno sta arrivando di Garry Kasparov, ex campione mondiale di scacchi e attivista politico, veniva pubblicato per la prima volta. Sembra un romanzo per certi versi autobiografico, un racconto in perfetto stile orwelliano, a tratti profetico nel narrare l’ascesa e ancor di più il declino della democrazia russa, eppure i timori nutriti allora dall’Autore sono diventati drammaticamente realtà: «Il male è tra noi dall’inizio dei tempi e non andrà via».

Sin da subito si comprendono le posizioni di Kasparov, avverso alla politica putiniana e al suo entourage, così che si scorge la contrapposizione tra due blocchi: la Russia da un lato, il mondo libero dall’altro, uniti dal filo sottilissimo e «a senso unico» del compromesso politico-economico.

Kasparov è infatti dell’avviso che le negoziazioni siano inefficaci a fermare la liberticida “macchina” putiniana. Ciò che è all’uopo comprendere – ammonisce – è contro cosa combattere e quali valori senza tempo difendere in un mondo in evoluzione:

«Ma come possiamo combattere contro i tanti mali presenti nel mondo se non abbiamo il coraggio di guardare in faccia un male le cui ombre sono vecchie di un secolo?»

Bisogna agire, avere mano ferma da un punto di vista diplomatico, politico ed economico, per evitare una capitolazione morale, poiché

«Putin […] fa un passo, si guarda intorno, annusa l’aria e poi, se non ci sono intoppi, va avanti. Ad ogni nuovo passo acquista sempre più fiducia, e di conseguenza diventa sempre più complicato fermarlo.»

Il paragone con Hitler (in relazione all’attacco alla Polonia nel 1939) è finalizzato a dimostrare come e quanto l’inazione abbia, nel breve o lungo termine, ripercussioni disastrose a livello globale. Puntualizza l’ex scacchista:

«Hitler trovò l’ardire di spingersi oltre solo perché ottenne quei trionfi con tanta facilità, senza incontrare quasi nessun ostacolo da parte delle democrazie occidentali.»

L’impossibilità di attaccare e intaccare la feroce dittatura putiniana dall’interno – lo stesso Kasparov a capo di una lista pro-democrazia in occasione delle presidenziali del 2008 viene arrestato – necessita di un’opposizione esterna ferma e determinata.

E innanzitutto richiede coraggio da parte dell’Occidente paralizzato sempre dal timore di conseguenze nefaste e di controversie interne che avrebbero potuto pagare a caro prezzo, non considerando che «i costi reali dell’inerzia sono sempre più elevati», per cui

«l’unico motivo serio per entrare in azione e fermare Putin oggi è brutalmente semplice: domani potrà solo andare peggio.»

L’isolamento internazionale è l’unico metodo, secondo Kasparov, per indebolire l’ex presidente del Kgb. E così egli racconta la storia di Putin e della sua ascesa al potere ad un certo punto messa in parallelo con le imprese di don Vito Corleone.

Racconta altresì l’odissea del popolo russo dalla fine della Guerra Fredda e del crollo dell’Unione Sovietica alle elezioni nel 1996 di Boris Eltsin fino a quelle farsesche del 2008, evidenziando lo scacco fra il primo – promotore dell’indipendenza e della democrazia russa – e Vladimir Putin – distruttore di quella eredità.

Nel mezzo gli attentati terroristici del 2001, le guerre in Cecenia, in Polonia, l’istituzionalizzazione della corruzione e la centralizzazione del potere sia politico che mediatico – annullando di fatto il confine tra potere pubblico e ricchezze private – che hanno dato a Putin, “abile giocatore di poker” di realizzare la sua vera natura – fino ad allora caratterizzata da una certa ambiguità – e di condurre la sua vera guerra nella transizione dalla democrazia alla dittatura – o per usare le sue parole – alla «democrazia gestita»:

«La guerra di Putin era contro la democrazia russa e contro chiunque si mettesse di traverso con il suo proposito di annientarla.»

Ora e più di allora bisogna prefiggersi lo scopo di proteggere le vite umane, il valore stesso della vita e della libertà dell’uomo e, in definitiva – qui l’appello ai politici di tutto il mondo – rendere più sicuro il mondo, senza nascondersi dietro la maschera delle “priorità nazionali”:

«Dobbiamo costruire un sistema fondato su valori che sia abbastanza forte da resistere al virus dentro casa, abbastanza intelligente da arrestarlo prima che si diffonda e abbastanza coraggioso da estirparlo lì dove prolifera.»

© Antonietta Florio

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