«Se però il nichilismo europeo non è soltanto un movimento storico tra altri, ma è il movimento di fondo della nostra storia, allora l’interpretazione del nichilismo e la presa di posizione nei suoi confronti dipendono da come, e da dove, si destina a noi la storicità dell’esistenza umana.» (M. Heidegger, Il nichilismo europeo)

Ne Il nichilismo europeo, titolo che deriva dal corso che Martin Heidegger tenne all’università di Friburgo nel 1940 sul tema Nietzsche: il nichilismo europeo, il filosofo si pone il problema del superamento del nichilismo, il cui termine è in circolazione sin dalla fine del 1700, nel carteggio tra Jacobi e Fichte, e poco più tardi si diffonde a opera di Turgenev.
Ciò che occorre sottolineare sin da subito è l’associazione tra nichilismo e metafisica, che per Heidegger non è superficiale, ma richiede un’indagine radicale ed essenziale del loro rapporto. Il nihilismus non caratterizza la storia più recente dell’Occidente, ma inerisce all’essenza della metafisica occidentale, che diventa l’essenza della filosofia a partire dall’interpretazione dell’essere come idea (Platone).
Da questo lavoro analitico storico-speculativo non si possono esulare cinque capitoli di importanza cruciale: la trasvalutazione dei valori, la volontà di potenza, l’eterno ritorno dell’uguale e il superuomo, che «mostrano la metafisica di Nietzsche sempre sotto un riguardo», che determina il tutto.
La metafisica nietzschiana è antropomorfismo, cioè il vedere il mondo a immagine dell’uomo, in cui è decisivo il rapporto dell’uomo con l’ente nel suo insieme e in cui la postulazione delle idee e dei valori costituiscono l’armamentario per la comprensione e interpretazione del mondo.
Cosa significa “trasvalutazione dei valori finora validi” nella filosofia di Nietzsche? Che cos’è il valore? E inoltre, chi e perché determina il valore di qualcosa? «Un valore vale perché è determinante o può essere determinante solo perché vale?»
Heidegger parte da qui, dalla constatazione che «il valere è un modo dell’essere» e postula, con Nietzsche, che l’uomo abbisogna di avvertire la totalità e unità dell’ente per «poter credere nel proprio valore», per autoaffermarsi.
Più oltre, definisce il “valore” quale “punto di vista per…”:
«Ciò che vale non vale perché è un valore in sé, ma il valore è valore perché vale. Vale perché è posto come valente. è posto in tal modo da un mirare a qualcosa che soltanto mediante questo mirare riceve il carattere di ciò di cui bisogna tener conto e che pertanto vale.»
Il processo di svalutazione (o deposizione) dei valori, che ha come esito il nichilismo (che in Nietzsche si riassume nella morte del Dio cristiano), implica non solo un cambiamento della posizione dei valori, bensì anche la necessità di una loro rifondazione, cioè un principio in base al quale l’ente sia determinato in modo decisivo e interpretato in modo nuovo, di modo che l’uomo possa dispiegare «la sua essenza in base alla propria pienezza di valori».
In epoca moderna, l’uomo diventa misura unica e incondizionata di tutte le cose, il fondamento dell’ente, il subiectum. È evidente – osserva qui Heidegger – l’esistenza di un’intima connessione tra le posizioni di Nietzsche e Descartes, benché il primo tenda ad entrare in contrapposizione col secondo su più punti.
Il nichilismo, asserisce il filosofo, significa una svalutazione dei valori supremi senza tuttavia rispondere alla domanda “perché?”; parimenti esso non può essere spiegato nei termini del processo del “divenire-niente”.
Se il Niente è una negazione dell’ente (che insieme all’affermazione fa parte del logos) e il niente non c’è, di conseguenza, è assurdo che l’ente sprofondi nel Niente e in esso si dissolva. Ergo, in tal caso, il nichilismo sarebbe un’illusione.
Ma per Nietzsche è tutt’altro che un’illusione. Esso è la legge occulta della storia occidentale moderna, è il movimento di questa storia che porta alla svalutazione dei valori supremi e questa determina, a sua volta, la caduta dei valori cosmologici.
Si può dire – e Heidegger lo fa – che il nichilismo è uno “stato psicologico”, laddove però la psicologia nietzschiana, in quanto domandare dello psichico e del senso del divenire della volontà di potenza, è un’antropologia che, a sua volta, è la metafisica dell’uomo.
«Se perciò il nichilismo è concepito come «stato psicologico», ciò significa allora: il nichilismo riguarda la posizione dell’uomo in mezzo all’ente nel suo insieme, riguarda il modo in cui l’uomo si pone in relazione con l’ente in quanto tale, in cui configura e afferma questo rapporto e quindi sé stesso; […] Il nichilismo visto come una forma della volontà di potenza, come l’accadere in cui l’uomo è storicamente.»
Ed eccoci all’altro concetto fondamentale di questa discettazione: la volontà di potenza, che pone i valori come condizioni per la sua conservazione e il suo superamento. Essa è, per dirla in altri termini, «l’unico valore fondamentale in base al quale viene stimata qualsiasi cosa che deve avere valore o che non può pretendere di averne».
La forma suprema della volontà di potenza è il superuomo, che “sorpassa” l’uomo che c’è stato finora, si lascia alle spalle l’uomo dei valori finora validi, poiché intraprende la via del potenziamento della volontà di potenza.
Cerca ideali “sopra” e “al di là” di sé e, così facendo, pone le basi necessarie per un nuovo principio della posizione di valori che trae origine da una nuova consapevolezza.
Allora la metafisica, in quanto verità sull’ente, è una “morale, cioè un «sistema dei giudizi di valore» posti dall’uomo che però non può contraddistinguersi come il centro di tutto ciò che è (iperbolica ingenuità dell’uomo, dice Nietzsche).
La distinzione dell’essere e dell’ente, che in epoca precedente era «improblematica» nella metafisica, ne diventa ora un tratto caratteristico e inevitabile per una nuova Weltanschauung e una nuova interpretazione ideologica del mondo.
© Antonietta Florio