Maruska Panaccio, La libertà di Elisabetta

«Non si aspettava che tutto cambiasse di colpo, né che le giornate sarebbero state tutte radiose da allora in poi. C’era molto su cui dover lavorare, e molti giorni neri, bui, ancora l’avrebbero fatta sentire sporca, ma avvertiva che lei stessa aveva bisogno di ricostruirsi, soprattutto davanti ai propri occhi. Quello che aveva intrapreso, per quanto arduo, era il cammino verso la sua libertà dalla paura.» (M. Panaccio, La libertà di Elisabetta)

Una vacanza in America per cancellare il passato irrimediabilmente segnato e per allontanarsi dall’anaffettività dei genitori, in particolar modo della madre. Prende così avvio La libertà di Elisabetta di Maruska Panaccio che racconta la storia di una vita – quella di Elisabetta per l’appunto – da (ri)costruire in un nuovo Paese, in una nuova città e con altre persone che diverranno ben presto la sua seconda famiglia.

Partita da Firenze, Elisabetta giunge a Malibu. Qui, il contatto con la natura – che le dona un’incredibile sensazione di pace – e la benevolenza del cugino Albert e degli zii ha un influsso ottimale sulla psiche, tanto che è da questo momento in poi che ella comincia a vivere, pur senza dimenticare il vissuto fiorentino.

Un incubo difficile da rimuovere, che la perseguita ogniqualvolta è sul punto di gustare il  dolce sapore della gioia dell’amore, immagini drammatiche che le tornano alla mente ogni volta che sta per lasciarsi andare, ogni volta che vorrebbe soltanto spalancare le braccia per accogliere la vita e lasciarsi finalmente accecare dalla sua luminescenza.

Elisabetta (o Beth) intraprende comunque la strada del risanamento e della (ri)nascita personale, al termine della quale sarà in grado di riscattarsi. Acquisirà, difatti, non soltanto la consapevolezza di chi è e cosa vuole essere, bensì anche la libertà di chi è, senza più remore né tremori:

«Sentiva di dover cercare un po’ dell’intraprendenza che sapeva di avere, nascosta in fondo in fondo, sotto strati e strati di insicurezza. Aveva la sensazione che qualcosa di buono poteva accadere fra di loro. Cercò di darsi un po’ di coraggio e inviò l’ultimo messaggio prima dell’appuntamento.»

Molti sono i personaggi che, consciamente o inconsciamente, l’aiutano in questa scalata emozionante verso la conquista della vita. Dapprima Michael, un duro dal cuore buono e grande, poi sua nonna – Lady Rose – fondatrice dell’associazione Hope che svolgerà per Beth un ruolo cruciale nel suo percorso di crescita sia intimo e personale sia da un punto di vista professionale.

L’anziana Lady Rose è la prima persona di cui Beth si fida ed è la prima persona a cui affida la confessione del suo  tragico, terribile e avvilente segreto. È al suo cospetto che la ragazza dà finalmente voce al suo dolore fino ad allora muto, è dinanzi a lei che finalmente trova la forza e il coraggio di denunciare quanto le è accaduto:

«La donna [Lady Rose] la avvolse in un abbraccio così confortevole che Beth avrebbe voluto non doversi mai sciogliere. Sentiva le proprie difese cedere sotto quella dimostrazione di affetto, discreta ma calorosa, e soprattutto, disinteressata.»

È soprattutto grazie a lei che la ragazza può finalmente avviare la sua propria guarigione:

«Beth prese coscienza di non essere l’unica vittima e, soprattutto, di essere una vittima e non una provocatrice. Non sarebbe stato facile convincersene, ci sarebbe voluto molto tempo, ma la strada era quella giusta.»

Eppure, la trama narrativa non si esaurisce qui e un romanzo che potrebbe a prima vista inserirsi nella cronaca rosa si arricchisce di ulteriori elementi, dispiega un’altra serie di eventi che attivano il meccanismo tipico dei romanzi d’azione, giungendo alle soglie del thriller, pur sempre, però, tenendo alta la bandiera dell’acquisizione della libertà interiore.

Tra studio e tirocinio interiore ed esteriore a un tempo, quella che in un Paese diverso e distante dalla sua città natia è cominciata come una vacanza, un periodo di transizione di breve durata, finisce col diventare stabilità.

Malibu diventa la casa di Beth e la fondazione Hope il motivo per il quale continuare a combattere non soltanto per se stessa, ma anche per altre donne che come lei hanno sfortunatamente vissuto e subìto un torto.

Michael diventa il suo pilastro e, a poco a poco il segreto così a lungo custodito e ben protetto verrà finalmente alla luce per lasciarla libera. Libera di sorridere, libera di innamorarsi, libera di amare, libera di vivere e di essere felice.

© Antonietta Florio

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