««Noi abbiamo inventato la felicità» – dicono gli ultimi uomini e ammiccano. Essi hanno abbandonato i paesi dove era duro vivere: perché c’è bisogno di calore. Ammalarsi e non avere fiducia è per loro peccato: si procede guardinghi. Folle chi ancora inciampa nelle pietre e negli uomini! Ogni tanto un po’ di veleno: rende piacevoli i sogni. E alla fine molto veleno per morire piacevolmente. […] Nessun pastore e un solo gregge! Tutti vogliono le stesse cose, tutti sono uguali: chi sente diversamente, va di sua volontà in manicomio.» (F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra. Un libro per tutti e per nessuno)

Carlo Sini, nella Prefazione a Così Parlò Zarathustra. Un libro per tutti e per nessuno di Friedrich Wilhelm Nietzsche (cronologicamente successivo a La nascita della tragedia) pone una domanda (“che cos’è un libro?”), per evidenziare che il Zarathustra del filosofo dell’Über-mensch (dell’oltre-uomo o del superuomo) è molto di più dell’oggetto-libro.
Zarathustra – ispirato al profeta iranico vissuto probabilmente tra il XVIII e il XV secolo a.C. (secondo alcune recenti ricerche filologiche) e autore dei cinque canti religiosi (gāthā) raccolti nell’Avestā (l’insieme dei libri sacri del mazdeismo) – è un evento «che avrebbe spaccato in due l’umanità». Ma non solo.
Segnando un netto divario rispetto alla vetusta diatriba tra anima e corpo, materia e spirito, il Zarathustra nietzschiano trasborda l’umanità “al di là del bene e del male”. Il superuomo trova conferma, dunque, nel superamento dei limiti. Egli è «il senso della terra».
L’opera contiene la substantia della philosophia di Nietzsche: dal “Dio è morto” all’eterno ritorno, dalla volontà di potenza alla figura del Sole che, come in Platone, si ricollega idealmente all’idea del Bene. Siffatti temi scandiscono le quattro parti che compongono il testo, nel quale vi si può leggere la storia dell’uomo, le tre tappe che gli individui devono attraversare per giungere, appunto, alla salvezza.
Dette tappe sono rappresentate da tre animali: il cammello, il leone e il fanciullo. Il cammello è l’imago dell’uomo che obbedisce al corpus delle leggi, all’imperativo cioè del “tu devi”. La metamorfosi in leone emblematizza la rottura dei valori tradizionali e innalza la bandiera dell’“io voglio”. Infine, il passaggio da leone a fanciullo segna un nuovo inizio, la nascita del superuomo, il cui obiettivo è la realizzazione dell’umanità:
«Riportate, come me, sulla terra la virtù che è volata via – sì, riportatela al corpo e alla vita, affinché dia il suo senso alla terra, un senso umano!»
Poco dopo, aggiunge:
«Il vostro spirito e la vostra virtù servano il senso della terra, fratelli miei: e siano di nuovo fissati da voi i valori di tutte le cose! Perciò dovete essere combattivi! Perciò dovete essere creatori! Conoscendo, il corpo si purifica; sperimentando grazie al sapere, esso si eleva; per colui che conosce, tutti gli istinti si santificano; per colui che si è elevato, l’anima si fa gaia.»
Un’impresa ardua spetta, quindi, a Zarathustra che, dopo dieci anni di nomadismo solitario, tornando in mezzo agli altri uomini, prende coscienza della desertificazione della vita, della “malattia della terra”. Priva di sentimenti solidali, àncorata a falsi valori, spietata nel suo egoismo, dominata dal caso e alimentata da parole illusorie, l’umanità si è fatalmente avviata verso un inesorabile declino.
L’uomo, come nel mito dell’androgino, non esiste più nella sua interezza; è ridotto in frammenti, imperfetto, «è un fiume melmoso», è una transizione e un tramonto ed è per questo che deve essere superato. Difatti, Zarathustra riferisce alla folla trasecolante queste parole:
«La grandezza dell’uomo è nell’essere un ponte e non una meta: ciò che si può amare nell’uomo è il suo essere una transizione e un tramonto. Amo coloro che non sanno vivere se non come esseri che tramontano, poiché essi sono coloro che vanno oltre. […] Amo colui che vive per conoscere e che vuole conoscere, affinché un giorno viva il superuomo. E in questo modo egli vuole il proprio tramonto.»
Amare e tramontare, due facce della stessa medaglia: “amare vuol dire rendersi disponibili alla morte”, la razionalità si accorda talvolta con la follia e viceversa.
Ma cosa significa “Dio è morto”? Con una tale asserzione, Nietzsche annuncia la fine dei valori etici e morali, il crollo delle antiche, confortanti certezze che, appunto, convergevano nell’idea di Dio. Da questo vuoto, da questa vita in un mondo ormai “sdivinizzato” germinano angoscia e senso di spaesamento, timore e inquietudine.
Solo gli uomini più temerari saranno in grado di sopportarne il peso, di guardare con lucido disincanto la voragine che si è spalancata dinanzi ai loro occhi e creare nuovi valori, dal momento che creare significa liberarsi dalla sofferenza. Tuttavia,
«Creare nuovi valori – non lo sa fare nemmeno il leone: ma crearsi la libertà per una nuova creazione: questo sa fare la potenza del leone. Crearsi la libertà è un sacro no anche di fronte al dovere: per questo, fratelli miei, è necessario il leone.»
Qui fa la sua comparsa il superuomo, la cui azione si compie in uno spazio senza confini, che «da un lato è libertà e occasione di riscatto, ma dall’altro ha il volto inquietante della possibilità». Quasi precorrendo la condanna dell’uomo ad essere libero nel pensiero del filosofo esistenzialista Jean-Paul Sartre, Nietzsche sostiene che con la scomparsa di Dio, si apra, all’essere umano, un vasto campo di possibilità di lettura e interpretazione del mondo.
Chi è effettivamente il superuomo? Ben lungi dall’essere un uomo di razza superiore, ben lungi altresì dall’appartenenza a un’èlite socio-politica e culturale, l’oltre-uomo è colui che è capace di vivere in un mondo ormai allo sbaraglio, che non ha timore di affrontare gli eventi contando solamente su se stesso e sulle sue proprie forze.
È questa la sua libertà: libertà di non credere a nulla, libertà dalle suggestioni metafisiche, che riconducono sia gli individui, sia il mondo, definito da Marsilio Ficino in epoca umanistico-rinascimentale un «grande animale vivente», al cospetto degli dèi.
Il superuomo è quindi l’homus novus, non più l’uomo che valuta, bensì l’uomo che – come detto poc’anzi – sperimenta un nuovo linguaggio, che fa della creazione del mondo la sua volontà e ragione:
«Io percorro nuove strade, un nuovo discorso mi sovviene; come tutti coloro che creano mi sono stancato del vecchio linguaggio. Il mio spirito non vuole più camminare su suole consumate.»
È nell’esprit créatif che riverbera la volontà di potenza, la volontà di essere padrone e di conoscere la verità, poiché la volontà è la sorgente della vita, la volontà è la vita stessa.
Considerando a questo punto il fattore tempo, Nietzsche è dell’opinione che l’umanità ha subìto un lungo processo di evoluzione, condizionato naturalmente dalle situazioni sociali, politiche e ovviamente morali. Una volta di più, si affaccia nella speculazione filosofica nietzschiana il concetto di libertà: è giocoforza liberare l’uomo dalle incrostazioni della storia che lo indeboliscono e lo trascinano nel tunnel della corruzione e della decadenza.
È evidente la distanza pressoché insormontabile rispetto agli antichi filosofi greci, secondo i quali la contemplatio divinorum, il raggiungimento del Bene Assoluto (Platone) o dell’Uno (Plotino) è sempre possibile (ma a condizione, che l’anima si liberi dalle passioni corporee).
Tornando a Nietzsche e all’oscurità che vela l’uomo e la sua condizione, l’eterno ritorno dell’uguale rientra nel novero dei pesi più terribili che i soggetti devono sopportare:
«Per capire che cosa sia l’eterno ritorno dobbiamo fare come un giorno o una notte un demone venisse da noi e ci dicesse: «Questa vita, come tu la vivi ora e l’hai vissuta, con i suoi dolori e piaceri, pensieri, ansie e sofferenze, dovrai viverla ancora una volta e innumerevoli altre volte, sempre uguale a se stessa». Che cosa faremmo? Avvertiremmo tutto questo come il peso più grande e insopportabile.»
Nulla si distrugge, ma tutto eternamente ritorna:
«In questo senso la vita va presa sul serio, perché ciò che accade è destino che torni ad accadere ancora in futuro e per sempre. Alla vita è restituita la sua dignità e perfezione: ancora una volta essa non è interpretata dal punto di vista del tempo a venire, ma nel suo farsi, momento dopo momento.»
Il sopracitato concetto, a dispetto del florilegio di interpretazioni cui è (s)oggetto, appare come una sorta di munus: l’uomo «raggiunge la felicità se sa gustare la vita nella sua pienezza», giacché «ogni attimo contiene in sé il proprio valore e il proprio fine».
La vita passa mentre si rimugina sul passato che fu e non è più e sull’avvenire che sarà, ma che ancora non è. Il giusto atteggiamento è di vivere e fare proprio il tempo presente, la vita è qualcosa che (av)viene sotto il segno dell’hic et nunc. Qui s’innesta la lectio dell’Über-mensch, che nelle vesti di un adepto di Seneca declama a gran voce: vindica te tibi («rivendica a te stesso la proprietà di te stesso»). Ed è qui, infine, che balugina la morale di Zarathustra, così sorprendentemente attuale:
«Perché la vita sia guardata benevolmente, il suo spettacolo deve essere ben recitato: ma per far ciò occorrono bravi attori.»
Così parlò Zarathustra.
© Antonietta Florio
[…] antropologico senza limiti e senza ritorno» e la definizione di Nietzsche dell’uomo quale “malattia della terra” (in Così parlò Zarathustra) con la conseguente preconizzazione del superuomo, è più attuale che […]
"Mi piace""Mi piace"
[…] A questo punto, Vittorio Nazareno Pasqua passa in rassegna la speculazione filosofica nietzschiana, che ruota intorno all’Übermensch. Il Superuomo è colui che conosce il bene e il male, è «il centro dell’equilibrio del mondo, senza di lui tutto sarebbe insignificante». Ancora, è colui che in nome della volontà, che illumina l’intelligenza, è in grado di superare qualsiasi tormento esistenziale e al “tu devi” kantiano contrappone l’“io voglio”. […]
"Mi piace""Mi piace"
[…] a un’illusione; anzi, ne ha le sembianze perché Roni risponde all’interrogativo di Zarathustra: “cosa faresti se ciò che è accaduto una volta, accadrà di nuovo e così […]
"Mi piace""Mi piace"
[…] natura e Dio e, più tardi, ha introdotto i concetti di soggetto, scienza e tecnica. Nietzsche, con l’Übermensch, ha affermato la libertà incondizionata dell’uomo, la sua «volontà di potenza». E, in […]
"Mi piace""Mi piace"
[…] del saggio s’innesta sul nichilismo heideggeriano. Se quello nietzschiano fa riferimento alla distruzione dei valori, alla “notte del mondo”, in Heidegger è connesso alla nullificazione del senso […]
"Mi piace""Mi piace"
[…] che pone l’accento sull’opacità e l’incomprensibilità del linguaggio, anche il filosofo del “Dio è morto”, Friedrich Nietzsche, può essere considerato un precursore del decostruzionismo, quando afferma che il Bene e il Male […]
"Mi piace""Mi piace"
[…] Nella società del benessere si sono persi di vista i valori più importanti e le piccole grandi cose che rendono davvero bella la vita. L’agire obbedisce alle leggi dell’interesse e del calcolo, («Con il benessere, la cattiveria»), il fare punta alla quantità a detrimento della qualità, si posseggono i beni, ma senza il Bene: «Gli uomini decidono il valore degli oggetti, gli oggetti scandiscono il valore di un uomo». È ciò che Nietzsche ha sintetizzato nella famigerata formula Got ist tot (Dio è morto). […]
"Mi piace""Mi piace"
[…] monito è di combattere e danzare anche nella pioggia, poiché come asserisce Nietzsche «Bisogna avere il caos dentro di sé per partorire una stella danzante». L’arte del vivere dipende dagli atti soggettivi, dalle inclinazioni e volizioni […]
"Mi piace""Mi piace"
[…] nel Quattrocento essere liberi significa essere costruttore del proprio destino, Nietzsche – con Zarathustra – direbbe «Diventa ciò che sei», con l’avvento della modernità, il concetto di libertas individuale porta con sé una […]
"Mi piace""Mi piace"